386 capitolo quattordicesimo.
L'altra prendeva, e dinanzi l'apriva Fendendo i drappi, e inostravami il ventre: Quel mi svegliò col puzzo che n'usciva.
Svegliatosi, che già i gironi del sacro monte erano illuminati dai sole, Dante seguiva Virgilio portando la fronte
Come colui che l'ha di pensier carca, Che fa di sè un mezzo arco di ponte.
Quand'io udì': Venite, qui si varca, Parlare in modo soave e benigno.
L'angiolo, che aveva l'ali aperte che parevan di cigno,
Mosse le penne poi e ventilonne,
cancellando dalla fronte di Dante il quarto P. Giunti sul quinto girone, Dante vede
. . . gente per esso, che piangea, Giacendo a terra, tutta vòlta in giuso.
Sono questi gli avari, i quali con alti sospiri dicevano :
Adhaesit pavimento anima mea.
Ad uno di essi si rivolge Dante, domandando:
Chi fosti, e perchè vólti avete i dossi Al su, mi dì, e se vuoi ch'io t impetri Cosa di là, ond' io vivendo mossi.
E quegli risponde:
Scias quod ego fui successor Petri.
È Ottonbono de'Fieschi conti di Lavagna, papa Adriano V, il quale dice a Dante
Un mese e poco più prova'io come Pesa il gran manto a chi dal fango'l guarda; Che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversione, omè ! fu tarda, Ma come fatto fui roman pastore, Così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non si quetava '1 cuore, Nè più salir poteasi in quella vita; Per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita Da Dio anima fui, del tutto avara : Or, come vedi, qui ne son punita.
Dante impreca all'avarizia (Canto ventesimo) :
Maledetta sii tu, antica lupa, Che più che tutte l'altre bestie hai preda, Per la tua fame senza line cupa.
Egli sente poi le ombre
Pietosamente piangere e lagnarsi;