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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   152 CAPITOLA QUINTO.
   si gran numero di occasioni che quell'età battagliera offeriva ad un popolo agitato da gagliarde passioni, e incolto bensi, ma ricco di fantasia e d'ingegno. Questa poesia popolare si congiunge o piuttosto si continua a quella dei ritmi e degli altri versi in rozzo latino riferiti dal Muratori; e quantunque ne abbiamo scarsissimi avanzi, pur bastano a farci comprendere quale indole avrebbe avuta già fin d' allora la nostra letteratura, se gli ingegni più colti non si facevano imitatori dei Provenzali.
   Ma non tutti, invero, si fecero; e meno che altrove in Toscana. La scuola provenzale ebbe qui pure i suoi adoratori, e dovè certo averveli per tutta la prima metà del secolo XIII, se troviamo ch'essa continua fin dopo l'ottanta. Non molti però nè molto reputati i seguaci suoi. In Pucciandone Martelli che si compiace di bisticci, rimalmezzi ed altre scioperataggini faticose (1), l'arte è più un giuoco che cosa seria, come può vedersi dal sonetto
   Similemente gente criatura La portatura pura ed avenente Faite plagente mente per natura Si che 'n altura cura yo la gente (2).
   Anche Gallo Pisano fu certo impregnato di provenzalismo; e ne rigurgitò quel Dante da Majano, che sembra non altro che copiatore servilissimo dei siciliani (3). Altri vada pure in estasi alla lettura delle sue corrispondenze poetiche colla Nina; noi lo terremo tra i poeti più funesti all'arte italiana, gli ricuseremo anzi ogni senso poetico se pur vivendo presso Firenze, e dovendo aver nelle orecchie di continuo il suono gentilissimo de' canti del popolo, ei preferiva d'ispirarsi alle concettose freddure della scuola siciliana; se, potendo scrivere quello che sentiva nell'animo, amava meglio dilavarsi in luoghi comuni, in paragoni, in elogi, in lamenti, non veri, non nuovi, non sentiti (4); se poteva all'Alighieri, giovanissimo, rispondere quel burbanzoso e triviale sonetto, dove non più il poeta mascherato da cavaliere, ina l'uomo si mostra nella sua arrogante pretensione (5).
   (1) Affò, Rag. ist. sulla volgar poesia, pag. 68.
   (2) In Crescimbeni, Stor. d. volg. poesia, III, pag. 61.
   (3) Ved. il giudizio molto savio che reca di lui il Ginguené, Stor. della lett.er. Ital., I, 377.
   (4) Diamo un breve saggio del poetare di lui.
   Null'uomo può saver che sia doglienza, Se non provando lo dolor d'Amore, Nè può sentire ancor che sia dolzore, Finché non prende della sua piacenza.
   Ed eo amando voi, dolce mia intenza,
   A cui donat'ho l'alma e'1 corpo e'1 core, -Provando di ciascun lo suo sentore, Aggio di voi verace conoscenza.
   La fina gio', ch'eo di voi presi amando, Mi fa lo ben gradito e savoroso Più di nessun, ch'ancora aggio provato.
   Or che m'avete di tal gio' privato, Sento dolor più forte e doloroso Che nullo, che giammai gisse penando.
   (5) Ecco questo famoso sonetto:
   Di ciò che stato sei dimandatore,
   Guardando, ti rispondo brevemente, Amico meo, di poco canoscent.e, Mostrandoti del ver lo suo sentore.