150 CAPITOLO QUarTO.
le quali tutte, sebbene di tempi posteriori al dugento, doverono però modellarsi su canti anteriori (l), e ci sono quindi testimoni della più antica poesia di popolo nel volgare toscano.
Chi lo vedesse cosi bene armato
Andare a la giostra quel dileggiato, Là solo un colpo ed è iscavalcato, Torna piangendo com' un fanciullino. Questo ugellino egli è costumato,
Nanti a le donne non tien nulla in capo: Egli sta ritto e sta iscappucciato, E mai non cura nè giel nè serino. Questo ugellino è di questa conviglia; Egli sta ritto com'una caviglia; Mona Bernarda per man se lo piglia, Cacciasel dentro com'un cacciolino.
— Madre, che pensi tu faro
Che marito non rni dai ? Credimi tu sempre mai Tenere in questo cianciare? Se tosto non ho marito,
Madre non sia tua credenza Che di stare a tal partito I' n' aggia più sofferenza : Quando Amor mi fa lo 'nvito Troppo m'è gran penitenza, Ch'i' ne veggio per Firenza Maritare a grand'onore Un braccio di me minore : Pensa quel che me ne pare 1
— Figliuola, non esser matta
Di seguire il tuo volere, Tu potresti aver la gatta Di colui che t'è in piacere; Poi quando la cosa è fatta, Dasse2.zo non vai pentére. Tu sai ch'e' ci ha poco avere, E però faggio indugiata; Tu sarai ben ristorata, Sì che non ti crucciare.
— Più fiate m'a' impromesso,
Madre, di farmi ristoro, E pur mi tieni in soppresso, Laond' io tutta mi divoro, E '1 giorno e la notte spesso I' ne piango et adoloro
(1) A dimostrare come i canti popolari andassero di mano in mano trasformandosi, e come « le ballate gli strambotti e i rispetti della scuola fiorentina del secolo XIV e XV