letteratura dialettale isella bassa italia. 147
per la necessitą delia rima con paura. E di tali esempi se ne potrebbero recare moltissimi. Ma non sempre l'amanuense per il rispetto dovuto alla rima, si rassegnava a lasciare intatta la voce dialettale. In Guido delle Colonne troviamo:
Poi non mi vai mercé nč ben servire In voi, Madonna, in cui tengo speranza, E amo lealmente, Non so che cosa mi poria valere; Se di me non la prende pietanza, Ben morrņ certamente, etc.
Or chi non vede il valere esser correzione di valire, anzi di valiri, e quindi anche servire di serviri% E lo stesso č accaduto in un sonetto di Jacopo da Lentino, dove si fa rimar pari con fare e formare, corretti cosi dalle forme native fari e furmari.
11 fatto č dunque evidente per noi. Federigo II trova gią sviluppati i dialetti Siculi, trova gią esistente una poesia ed una musica popolare; (1) ed egli si fa centro di una scuola che trasporti dalla piazza alla corte la nuova arte; la quale divenendo cortigiana, si aggira necessariamente dentro i limiti delle idee cavalleresche del tempo, si formula secondo quelle idee, e non č che una prosecuzione, o quasi anzi una ripercussione della scuola occitanica. Eia veste di codeste poesie č il dialetto siculo; modificato probabilmente, per elevarlo a maggior dignitą, coll'aiuto del provenzale, e forse con quello del latino; un cercato dialetto, come il signor Galvani lo chiama, composto di modi forestieri e del proprio siciliano.
Questa scuola Sicula abbraccia un periodo approssimativamente di trentasei anni, dal 1230 al 1206, e va perdendosi col cadere della casa Sveva. Le ultime sue parole suonano sul labbro dell'infelice Manfredi, di cui un'antica cronaca narra che * spisso la notte esceva per Barletta, cantando strambuotti et canzoni; et con e3so iyano due musici siciliani, che erano gran romanzaturi > (2).
(1) Diez, Poes. d. Troub275.
(2) Matteo Spinelli.