capitolo quarto.
tutta probabilità che i Siciliani scrissero nel patrio loro sermone; recandone prove delle quali nessuno potrà disconoscere il molto valore.
« Nella ultima stanza della canzone di I, da Lentino che principia
Amor non vuol ch'io clami;
il testo legge.
Per lo vostro amore avere Unqua gioja non perdiate. Cosi volete amistate ? Innanzi vorria morire.
Ora l'ultimo verso deve rimare col quarto ultimo della stanza e col primo dei qui riportati; ma il toscano copista non seppe mantenere le forme Siciliane avirt e morivi, e, guasta la rima, guastò i versi che dovevano essere tutti settenari e leggersi probabilmente cosi :
Pri vostru amuri aviri Unqua gioi' non perdati. Si voliti amistati? Anzi vurria muriri.
E nell'altra dello stesso che principia:
Donna eo languisco etc.
il secondo e il quarto verso della prima stanza non rimano più perche l'emanuense invece di tenere fidi e mercidi, corregge mercede. » (1)
Chiunque del resto abbia qualche pratica delle poesie sicule, deve avere necessariamente intraveduto questo rifacimento de' copisti. Una canzone di Ruggerone da Palermo comincia :
Oi lasso non pensai Si forte mi parisse.
Quel parisse è rimasto cosi, perchè rima con morisse-, senza ciò possiamo esser certi che si sarebbe mutato in paresse. Per la stessa ragione, si legge nella stessa poesia
Ed or caro l'accatto E scioglio come nivi.
Il copista non ha potuto corregger neve, perchè dovea rimare con dipartivi (2). Cosi noi troviamo in Enzo avveniri per la necessità della rima con soffriri; dimura
(1) Il signor Corazzini sta ora attendendo ad una edizione critica dei poeti siciliani, nella quale dimostrerà che la forma adoperata da essi fu il dialetto del loro paese ; e tenterà anche una restituzione a questa forma primitiva di che dette già saggio in un suo opuscolo stampato per nozze , dove troviamo la restaurazione di alcune poesie di Jacopo da Lentino, di Tommaso di Sasso e di Inghilfredi.
(2) Questa ed altre forme latine danno molta probabilità alla supposizione che i Siciliani si giovassero anche del latino per dar forma letteraria al loro idioma. Di essi scriveva già il Niccolini :« colla analogia del latino, coli'innanzi de'Provenzali, colla rima che impone la necessità di dare la stessa desinenza a molti vocaboli, facilmente nasce un frasario uguale alle formulo algebriche, che sono per tutto le stesse. » (Lez. Accadem.)