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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   I'l2
   capitolo quarto.
   Della lingua che pochi anni prima parlavasi in Sicilia ci ha lasciato memoria
   Riccardo di San Germano nella sua cronaca (ad an. 1232).....«cum cornu quodani
   convocahat populum, et alta voce cantabat allelnja; et omnes respondobant allelnja; et ipse consefjuenter diceba.t : benedictu laudatu et glorificatu lu Patri; benedictu laudatu et glorificatu lu Fillu, benedictu laudatu et glorilicatu lu Spirilu Santu (1 Lo stesso dialetto seguitò a scrnersi nel secolo XIV; e ne sia prova, tra mille, In conquista di Sicilia fatta per rnanu di lu Conti Rugeri (an. 1358) (2); anzi, per tutto il trecento, a detta di un siciliano scrittore, non ha la Sicilia che una sola scrittura di prosa nel volgare illustre (3), tutto il rimanente in dialetto. E bene sta per tutto il secolo XIII ogni provincia italiana scriveva il proprio dialetto: Fra Paolino come Matteo Spinelli, Fra Atanasio come il Malespini; una lingua ricevuta come letteraria da tutta la nazione non c'era ancora, non poteva esserci, sebbene già fosse nel suo pieno sviluppo il dialetto destinato a divenire la lingua della letteratura.
   Ma che cosa sono dunque queste poesie della Corte Sveva, che hanno dato occasione a tante dispute , e che hanno cosi stranamente arruffate le idee intorno all'origine delle lettere? No' non esitiamo un momento a rispondere che la forma nella quale esse sono pervenute a noi non può essere la forma nella quale furono scritte. E diciamo pensatamente non può essere, volendo significare che, se anche ogni prova ci mancasse, noi dovremmo essere indotti a ritenerle alterate, delle jeggi razionali che governano le origini di ogni letteratura. Si ha un bel discorrere c lingua illustre, aulica, cortigiana, si ha un bel dire tutto quello che è stato detto dai pcrticaristi antichi e moderni: resterà sempre il fatto che la prima e più caratteristica qualità di una lingua è quella di essere parlata. Senza di ciò si ha, come ha detto un acuto ed arguto scrittore moderno, non una lingua, ma un frasario.
   Ma a dimostrarci codeste poesie sicule, alterate, non mancano neppure alcune prove. È noto che uno tra i poeti della Corte di Federigo, fu Stefano Protonotario, di cui si possono leggere le rime nella raccolta dell'Allacci ed altrove. Or bene, d costui ci è pure, per caso, arrivata una poesia schiettamente siciliana, conservatat dal Barbieri nel suo libro: Origine della poesìa rimata.
   La riferiamo testualmente
   Pir meu cori allegrari Ki multi longiamenti Senza all.granza e ioi d'amuri è statu, Mi ritorno in cantari, Ca forsi levimenti Da dimuranza turneria in usatu Di lu troppu taciri, E quando lomu a rasoni di diri, Ben di' cantar, e mustrari allegranza, Ca senza dimustranza Joi Siria sempre di poco valuri. Dunca ben di'cantar onni amaduri.
   E si per ben amari Cantar iniusamenti
   Homo chi avissi in alcun tempo amatu,
   (1) In Carusii, Bibl. Bist., lì, G06-7.
   (2) Di Giovanni, op. cit pag. 1. Vedi anche Borghini, Giornale Fiorentino, II, 138., dove « pubblicato Lu Libru di lu Munti de la Santissima Oracioni.
   (3) Di Giovanni, La prvsa volg. in Siciua.