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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   138 capitolo quarto.
   letterature, vedendo anche in esse lo spirito di Satana (1). Neil'idioma volgare della Sicilia cantava già il popolo la sua libera canzone d'amore; ed un altro volgare portava alle orecchie del grande Svevo il fiero suono delle vittime d'Innocenzo III Quelle ragioni stesse che facevano partire da Roma il segnale della strage degli Albigesi, dovevano rendere cara a Federigo la causa dei perseguitati e dei vinti. Guglielmo Figuiòres (2) che si rifugia alla corte di Palermo ci rappresenta la situazione. Si noti però la differenza. I trovatori che, dopo la Crociata, passano alle corti dell'Aita Italia, ci trovano una scuota provenzale già stabilita, e che è andata alimentandosi di continue immigrazioni (3;; quindi seguitano a cantare nella loro lingua. Invece alla corte di Sicilia le tradizioni occitaniche sono meno profonde; e sebbene il trovatore vi abbia fatto udire il suo canto, lino, probabilmente, da tempi del buon Guglielmo, pure è quasi una scuola di seconda mano quella là stabilita. Nell'Alta Italia passano i trovatori direttamente dalla Provenza ; non cosi, o almeno più raramente , in Sicilia. Quivi essi accorrono in maggior numero dopo la Crociata, quando cioè l'arte loro è in piena decadenza; e vi trovano un altro volgare che il popolo adopera già ne' suoi canti Non può essere dubbio l'esito della lotta, l'idioma indigeno, armonioso, sonoro, parlato da un popolo di fervide passioni , che si è fatto strada alla corte, che qualche poeta ha tentato di ripulire nel suo verso, questo idioma, al quale pure hanno giovato i suoni provenzali, oggi è vittorioso. I poeti che vanno giungendo dall'Occitania hanno oramai sul labbro il verso dello sdegno e della vendetta più di quello dell'amore, che piace invece al Siciliano. Federigo si fa centro dell'arte nuova, precursore anche in questo dei nuovi tempi. Ma di quale arte % Sarebbe tempo oramai di smettere in siffatta questione ogni spirito di partito. Fare dello Svevo il fondatore, il creatore della poesia italiana; dire, per esempio, che con lui « appariscono i primi monumenti della nostra letteratura » (4), o peggio, che « lo spirito poetico fu diffuso per tutta la penisola per opera di Federigo e dei poeti che gli facevano corona» (.^cominciare insomma la storia delle lettere da questa scuola Siciliana, e voler chiudere gli occhi alla evidenza del vero; voler ripetere un vecchio errore, senza tener conto dei fatti, dei mille fatti, di cui noi siamo andati indietro parlando. L'arte o la scuola di cui si fa centro Federigo, è scuola ed arte schiettamente, nudamente, freddamente provenzale ne' concetti. Potrebbe dirsi che la poesia nata in Occitania. sia andata a morire, sotto altre foggie, alla corte di Sicilia. Nè invero una poesia di corte poteva essere diversa in Sicilia, da quello che fosse in Provenza o in Lombardia: frutto dello spirito cavalleresco dei tempi, prodotto di certe idee, di certi sentimenti, di certe convenzioni uniformi (6), essa doveva manifestarsi uguale qua e là; come doveva necessariamente cadere col cadere del sistema feudale (7).
   Chiunque abbia la più leggera cognizione della letteratura provenzale e ne faccia spassionato raffronto colla poesia siciliana, troverà esattamente vero ciò che diciamo. Noi non vogliamo già asserire che tutto sia imitazione ne' poeti della corte Sveva; crediamo anzi che essi sieno fino ad un certo segno originali, ma sempre dentro il cerchio delle teorie provenzali, che è quanto dire, delle teorie dell'amore cavalleresco. Essi infatti non si muovono, non sentono, non hanno mai una indivi-
   (1) Basti, tra mille, l'esempio di quel vescovo di Mantova che scomunicava coloroi quali si lasciavano preudere dal demone dei versi. Cf. Pertz, Moaum. IV, 213.
   (2) Vedi indietro, pag. 90.
   (3) Cf. Meyer, Les Derniers Troub.
   (4) Settembrini, Lez. di Leti., I, 50.
   (5) Giudici, Stor. della Lelt. Ital., I, 84.
   (6) Cf. Diez, Poes. d. Troub., pag. 63.
   (7) Ibid.