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capitolo quarto.
Lassa! che mi dicia Quando ra'avia in celato: « Di te, o vita mia, Mi tegno più pagato Che s'i' avessi in balia Lo mondo a signorato ». Ed or m'ha in disdegnanza, E fatta conoscenza Par ch'aggia d'altra amanza. 0 Dio, chi lo m'intenza Mora di mala lanza E senza penitenza !
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Indizi, dicemmo, d'un'arte paesana alla quale appartengono pure altri canti, che vengono attribuiti ad un Ruggeri Pugliese, e, probabilmente per errore, allo stesso Federigo II, ma che non erano per certo propri della sola Sicilia, se non vogliamo considerare siciliani anche, per esempio, quei soavissimi versi che portano il nome di un Ciacco dell'Anguillara. Codesta arte che era espressione di sentimenti veri, : quali uscivano dall'anima degli scrittori, più che dalla loro testa, si manifestava ogni volta che il cuore commosso avesse bisogno di effondersi ; quando 1' amore c la gelosia dettassero le concitate parole della passione; o anche quando la patria ispirasse il fremito dello sdegno: testimone quel frammento di Canzonetta, che ( ha serbata il Villani, composta nel tempo che re Carlo assediava Messina:
Deh come gli è gran pietate Delle donne di Messina, Vegendole scapigliate, Portar pietre e calcina! Iddio li dia briga e travaglia A chi Messina vuol gustare (1).
Ecco il segno della vecchia canzone storica, a cui altri potrebbero aggiungersene di altre terre d'Italia (2) ; ecco una nuova e preziosa testimonianza che alle origm delle lettere nostre « due grandi forme si svolsero, diversissime in sè », quella cl( sviluppandosi naturale e spontanea, aveva una fisonomia sua propria, ed era schiettamente italiana ; 1' altra che avviluppandosi invece fin da quei tempi nell' arlifiza rettorico ed accademico, prendeva in prestito parole, forme, concetti da un' altri letteratura.
Nè ciò solo, come avverti un egregio e carissimo amico mio, pe. secoli pi irai ma anzi in ciascun tempo ed in ogni opera della letteratura nostra ; onde le infinii varietà degli scrittori, e il sorgere e il declinare e il rilevarsi e il perfezionarsi ( il corrompersi dell'arte italiana (3).
Ma qui due questioni si presentano. La prima, se sulla letteratura popolare delh Bassa Italia esercitasse o no qualche influenza la letteratura occitanica ; la seconda se la lingua usata in codeste poesie fosse tale quale a noi è pervenuta.
La influenza delle lettere provenzali fu, a nostro avviso, di due maniere. Indi-
(1) A pag. 209 della ediz. di Venezia, Giunti, 1559.
(2) Per esempio i due versi pisani citati nel Volgare Eloquio, I, 13, di cui cf. Fauriel Dante et les Orig. II, 7; i quattro versi reggiani riportati da Fra Salimbcne (Chron, 58) ed altri.
(3) Ved. le parole premesse dal prof. 0. T. T. ad Una Favola Esopiana in versi de secolo XV. — Livorno, Vigo, 1870.