132 capitolo quarto.
rebbe1?) clic il « loutinese e l'alcamese sono (li stampo diverso, e che nella medesima corte non potea coesistere cotanta notevole difformità » (1). Ma da sentir questo a concludere che ci sieno tra l'uno e l'altro cento anni, oh in verità la differenza è grandissima! Colla logica stessa i posteri potrebbero asserire che tra il Belli e il Leopardi sieno corsi dei secoli. Chi ha detto che il contrasto alcamese sia nato in una corte? Appunto anzi perchè è nato fuori degli artifizi della corte, all'aria aperta e libera e sana e ridente ; appunto perchè è un fiore de' campi, non delle serre de' giardini imperiali, ha quel profumo, quella freschezza che tanto ne piace. Di cortigiano, di aulico, di cardinale non c'è nulla per fortuna in quel povero canto; ma ci sono bensì chiari accenni ai tempi di Federigo: c'è il Viva lo Imperatore, che riferito ad Enrico VI in bocca di un siciliano è parola impossibile, mentre è naturale riferita allo Svevo. Nè qui niente hanno che fare le pene minacciate ai rapitori o violatori di donne. Quando anche il fatto cantato nella poesia non si avesse a ritenere di tempi anteriori, potrebbe rispondersi, prima, che l'amante non voleva, nè rapire nè violare ; ma solo persuadere la donna a ciò di cui ella poi cosi bene infatti si persuase ; ed appresso, che questa poesia non è già un discorso di erudizione critica sulle leggi sveve. E dei tempi di Federigo c'è anche, se non c'inganniamo l'alito della incredulità : quando la donna ha detto che prima di cedere, essa si taglierà le treccie e si farà monaca, che cosa le risponde l'amante ? Oh, egli dice, tu non mi sfuggirai per questo, io ti seguirò fin là dentro, fino nel sacro e inviolabile monastero, beato anzi di star con te sera e mattino, beato (si sottintende) di cogliere il frutto dell'amor tuo in quella dolce solitudine del chiostro: tanto empia risposta che strappa alla fanciulla atterrita quel grido:
Oimè tapina misera, com' hao reo distinato ! Geso Cristo l'altissimo del toto m'è airato: Concepistimi a abbattere in omo blestemiato.
E quando essa poi lo invita a giurarle 1' amor suo sul Vangelo, o sia lo invita al sacramento del matrimonio, eccoti un'altra scappata dell'incredulo innamorato che dice, il mio vangelo è il mio cuore, e su questo sacro libro del cuore ti giuro che ti amerò eternamente : e qui pure sembra sottinteso, altri vangeli io non conosco :
L'Evangelie, carama, eo le porto in sino, Allo mostero presile, non c'era lo patriiio ; Sovra esso libro juroti, mai non ti vegno mino (2).
(1) Vigo, op. cit., pag. 272.
(2) È noto che il signor Grion legge:
A lu mostiru prisili, unni era lu patrinu ;
ed interpreta : Quel vangelo eh' io porto in questo seno, lo presi in chiesa e all' atto intervenne un prete; io sono cristiano, battezzato in chiesa, porto in seno la fede cristiana, e sopra questo libro ti giuro di non tradirti. — L'interpretazione è ingegnosa. Non diremo nulla dell' unni letto invece di non: ciò rientra in una questione più generale. Ad ogD modo, anche intesi così quei versi, l'uomo giurerebbe sulla propria fede, ma ricusando il matrimonio. Se non che, come può dirsi io porto in seno la fede cristiana ciò è il battesimo? Il battesimo col seno che ha da fare? — Per noi è evidente che deve intendersi: il vangelo mio è qua dentro al mio seno, è il mio cuore: e si scherza poi su questo concetto, soggiungendo: lo presi in chiesa quando non c'era il prete; scherzo anche questo che armonizza col tuono beffardo di tutta la poesia, dove l'amore si alterna al cinismo quasi in ogni strofe.