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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   134 capitolo quarto.
   Paolino accingevasi a dettare il suo libro (1), e se verso la metà del secolo seguente si volgarizzava lo Statuto del Tiepolo (2). Ancora possiamo ragionevolmente supporre una influenza di alcune tra le città venete, come centro di studi, della dotta Verona, di Padova e. di Vicenza, che ebbero Università fino dai primi anni del duecento. Questo fatto poi della prevalenza del dialetto veneto come lingua letteraria nel XIII secolo, è certificato anche dalla sua vita posteriore, dalla saa persistenza in tempi molto più bassi, nei quali durò esso sempre a volersi considerare più come lingua che come dialetto; onde quella copia di scritture vernacole, che nessuna altra città italiana possiede.
   . Da ciò che siamo andati esponendo fin qui apparisce dunque come l'Italia settentrionale avesse durante il XIII secolo una sua propria letteratura in lingua volgare. Contemporaneamente si andavano sviluppando altre forme letterarie, nell'Italia di mezzo e in quella meridionale. In ognuna delle tre città, Venezia, Firenze e Palermo, dove più appariva la vita politica della nazione, si risvegliavano gli ingegni, si ingentilivano i dialetti, si dava mano all'opera letteraria, si creava un centro di cultura, attorno al quale aggruppavansi centri minori. Il lievito dell'arte nuova era in tutta l'Italia simultaneo.
   (1) Trattandosi del libro che conserva la lingua tipica dell'Alta ^Italia, alle origini della letteratura, crediamo indispensabile farla conoscere. Diamo il Cap. XLV1II, Co < grieve cosa a l'omo entrar en matrimonio (pag. 67, ediz. Mussafia). « De cò si parla Theofrastho, el qual fo dissipolo de Aristotele e tene la soa cadegla da dredo da lu, e dise ka primeramente la mujer embriga studio de sapientia, e-no è algun ke possa esser (ben attento) a sapientia et a la mujer. Ancora è gran briga a satisfarli en tute cose kc i à logo, come pretiose vestimente, ore, piere pretiose, ancille e diverse masarie. Ancora elle è piene de lamentance e dise: Quela va più ornada de mi, e quela vien più hoxio-rada, et io cativa son despresiada da tuti. Perchè parlè vu co la vesina o co l'ancila de casa? Que avè vu portà? e simele cose. Ancora, s'el fase mester d'andar for de la ci-tade, mal se po lagar la mujer e mal menar. Ancora, grieve cosa è far le spensarie a la povera e grieve a sostegnir la soperbia de la ridia. Ancora, no è cosa de che l'orno se possa più enganar, ka ongna cosa ke l'omo voi comparar elio la prova annanti, ma la mujer no se lasa provar acò k'ela no desplasa, avanti k'ela sia menada, e solamente de dre le noce s'empara se ella è bona o ria, humele o irosa e simel chose. Ancora, s'ela è bruta, greve cosa ò da amar; e s'ela è bella, è grieve da vardar. »
   (2) Così il Foscarini (Lett. Venez., pag. 18, n. 35). Ma è poi certo che il volgarizzamento non appartenga a tempi anteriori? Ne dubitiamo. La lingua dei due Codd. Marciani è certo di una veneranda antichità; e si noti che la scrittura dell'uno quanto dell'altro (XXX e XXXI Ital.) appartiene al XV secolo, quindi un qualche ammodernamento ha da esservi. Sarebbe questione ben degna di essere esaminata.