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capitolo terzo.
Le cinquanta cortesie da tavola (1) sono un ben singolare componimento. Fu già osservato (2) non essere senza curiosità vedere un frate, maestro di scuola insieme e poeta, che primo ha descritto le condizioni della sua città, porre in rima le lodi della Vergine e le costumanze dei banchetti. E si notò in queste Cortesie lo sforzo fatto perchè la nuova lingua riuscisse accetta anche a quella classe che più era abituata alle eleganze dei trovatori, ricercandovisi quasi l'ispirazione cavalleresca. Così la lingua volgare dell'Alta Italia, dopo aver servito probabilmente da secoli ai bisogni della vita domestica ; e dopo aver fatto i suoi primi tentativi certo nelle cantilene religiose, sulle piazze e per le vie, entrava nella casa del cittadino, si assideva a mensa con lui, colle sue donne e coi suoi ospiti, maestra di cortesia.
Fra Bonvesin da la Riva, ke stà in Borgo Legrnan, De le cortesie da desco quilò ve dise per man. De cortesie cinquanta, ke se den servar al desco, Fra Bonvesin da la Riva ve n parla mo de fresco.
............sta conzamente al desco,
Cortese adorno alegro e confortoso e fresco; No di' sta cuintoroso, no gramo, ni travacao,
Ni cole gambe incrosae, ni torto, ni apodiao.....
L'oltra ke segue è questa: quand tu è a li convivi, Anc sia bon vin in desco, guarda ke tu no te ivrij; Ki se ivria matamente, in tre mainere offende: El nox al corpo e a l'anima, e perde lo vin k'el spende . . .
L'oltra è : ki fosse con femene sovra un talier mangiando, La carne a si e a lor glie debla esser taliando. L'homo de' più esse intento, più presto et honorevre, Ka no de' per rason la femena vergonzevre . . . ,
Noi non possiamo tener dietro al poeta in questo non breve componimento. Ci basti solo avvertire la gentilezza tutt' altro che fratesca, che spira da questo galateo del XIII secolo: ed anche l'importanza ch'esso può avere come ricordo di costumi Ma più alti argomenti tentò pure l'antica lingua nordica dell'Italia. Dalla casa ritornò sulla piazza, non più a intertenere le moltitudini di pie leggende e di miracoli, ma a cantare i fasti della patria, e le sue vittorie e le sue sventure. È d? Genova che ne giunge quel suono (3), dove si celebra la battaglia di Laiazzo quella
Da mi exe bon exemplo, dond' l'homo de' fi salvao, Donca a la mia negreza no de'zà fi guardao....
Tu è cativa e fragile : eo sonto forte e nervosa ; Tu è villana et ossa e bruta et ascorosa; Eo sont cortese e neta, ovrente e virtuosa ;
Da ti no ven xembiariza se no malitiosa......
Lo to intendemento tuto è in luxiurar, Tuto è pur in lecame, no miga in lavorar, In dar brega a oltru, in morde, in xaguliar, E in far pegazo per tuto; ni oltro vorissi far.
(1) Furono pubblicate prima che dal Bekker, dal signor Biondelli, secondo un Cod. Ambrosiano, il quale però non può essere paragonato per bontà di lezione all' altro Cod. Mi lanese ed oramai Berlinese.
(2) Nell'articolo più volte citato del Crepuscolo.
(3) Rime istoriche di un anonimo genovese vissuto nei secoli XIII e XIV (Arch. Stor Ital., App., 18). —Lo Spotorno ne suppone autore Giovanni del Cervo monaco di S. Andre?