CAPITOLO TERZO.
LETTERATURA DIALETTALE NELL'ALTA ITALIA.
Noi possiamo ora raffigurarci al pensiero le condizioni letterarie dell' Italia settentrionale nei secoli XII e XIII. Poeti che in lingua provenzale corrono di castello in castello cantando o i loro versi di amore o i loro versi di sdegno; altri poeti che nell altra lingua di Francia cantano la gesta degli eroi carolingi, e che per essere intesi dalle moltitudini affollate intorno a loro, modificano col patrio vernacolo l'idioma nel quale hanno appreso le belle istorie di Carlo e di Rolando; dotti, uo-nini di stato e di chiesa, che guardano con disdegno codeste che chiamano tut-avia novità volgari, pietrificandosi essi nel vecchio e sacro latino; popolo che in-rnde un poco tutte queste lingue, che ama a preferenza le nuove, e che ha poi ma lingua già sua, già ereditata dagli avi, già parte della sua vita: un povero dioma domestico, col quale esprime i sentimenti più intimi dell'animo suo, col piale prega ed ama. Codesto popolo che palpita alla canzone del trovero e alla ìrvenfese del trovatore, e che intende quanto basti il latino dei suoi Statuti e ella sua Chiesa, o quello che celebri officialmente pubblici fatti, codesto popolo ha 1 suo dialetto, che nessuno degna ancora di scrivere, che passa attraverso gli ini ed i secoli senza lasciar traccia di sè (1). Arriva un giorno nel quale si tenta . canzone tcoverica in questo dialetto; ma troppo vive sono le rimembranze dei-idioma nel quale essa fu già tante volte udita e cantata: gli orecchi sono abituati quei suoni, i cuori non saprebbero commuoversi se udissero cantare di Ronci-valle in una lingua diversa; la lingua classica della Chanson de gente si impone, uasi suo malgrado, al poeta, che mentre sa emanciparsi dalle tradizioni della ^ggenda e divenire egli stesso inventore, non può trovare nel suo vernacolo solo ì forme che gli occorrono, e ricade nel francese, mentre appunto si argomenta di scirne; appunto perchè certe forme dell'arte sono legate e quasi connaturate alla ngua che le proibisse, e senza quella lingua divengono impossibili. Stabilire il smpo preciso nel quale ciò accadeva, sarebbe difficile assai. Forse sui primi del *colo XIII, forse più indietro. I codici che ci hanno serbata memoria di quel fatto Dn posteriori; ma di quanto posteriori, chi potrebbe dirlo? Certo è che nel 1200 là correvano per le terre lombarde i giullari, certo anzi che la prima metà del XIII scolo fu ;1 tempo nel quale si amò maggiormente tra noi la poesia francese. Baino, ci pare, a provarlo le parole di Brunetto Latini e di Martino da Canale, le aali dovevano riferirsi a tempi assai anteriori, dovevano accennare ad un uso, ad na moda, già antica; tanto più se quelle parole si mettano in relazione con altri itti, c. in altre testimonianze, cominciando dalla cronaca di Benedetto di Sant An-
(1) Su alcuni antichissimi vestigi (sec. XI e XII) del dialetto veneziano si veda lo itto del signor B. Ceccbetti, Dei primordi della lingua italiana e del dialetto in Ve-zia, negli Atti dell' Istituto Veneto, voi. XV, Serie III; nella tiratura a parte pag. 10, U