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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   FATTI C1IF, APPARECCHIARONO LE PRIME MANIFESTAZIONI, ECC. 101
   roga, portate in giro dai troveri e dai giullari, e che si recitavano e si cantavano .il popolo sulle piazze. Del contenuto del poema noi 11011 dobbiamo occuparci. Ci basti di stabilire che esso è cosa tutta popolare, la quale, ripetiamolo, deriva bensì da un poema francese, ma che un italiano sottopose a nuova redazione, mutando lingua, stile, disposizione, concetto, dando nuovi nomi ai suoi personaggi, e facendone insomma come un lavoro quasi originale.
   Nò il Macaire è solo. Esso anzi non è che l'ultimo episodio di una vasta compilazione, come già dicemmo, che si riferisce alle tradizioni carolingie. Sta in capo al Codice (('he è mutilo in principio) la storia di Beuve d'Hanstonc, poema francese del XIII secolo, e di cui è ben noto un rifacimento italiano, divulgatissimo ne' secoli XV e XVI, sino ad avere avuto, nella sola Venezia, otto edizioni. Non è qui il luogo di studiare se un tale rifacimento provenga dal manoscritto veneziano di cui parliamo; qui solo è da osservare che in esso la storia di Beuve è molto alterata, e che in essa è perfino intromessa un'altra storia, quella di Berta, che forma soggetto di un poema affatto indipendente. Questo già significherebbe che in Italia si lavorava sulle Chausons de geste, più per rifarle che per copiarle: e codesta libertà si spingeva fino a dar nuovi nomi agli eroi, ed a cambiare in molte parti sostanzialmente il racconto (1); come sarebbe, ad esempio, ciò che si riferisce ai traditori della casa di Mayence: concepimento che sembra tutto italiano, e che per certo durò in Italia anche in tempi molto più bassi.
   La lingua però di Beuve d'IIanstone non ha che fare con quella del Macaire: se ne giudichi da questi pochi versi (2):
   Sor tot les antres fu de maior renon
   Bovo no le queri ni merce ni perdon,
   Vers (3) lui s'en voit così irex cun lion,
   E ten claren Clarenca (4) chi a à or (5) li pon,
   Qe li dono Druxiana al cevo blon.
   Gran colpo fer de son elmo en son,
   Qe fior e pere n'abati (6) a foson.
   La spea (7) torna qe feri en canton (8),
   De (9) l'aubergo trenca davanti li giron,
   Le brando (10) cìesis sovra li Aragon,
   Le cevo li trence qu' el cai' al sablon.
   Abbiamo qui pure evidente la italianizzazione del francese, ma in misura diversa. Teniamo conto del fatto, e passiamo oltre.
   Come è che l'autore dalla storia di Beuve e di Berte, confuse insieme, si fa strada al seguito del suo racconto? Ciò è per lui semplicissimo: egli scrive: Oldu aves de Bove d'Anione coment paso la mare e servi atti sepolcro quatro anni, e
   (1)Cf. G. Paris, op. cit. 107.
   (S) Furono già pubblicati da Keller, Romvart, Beitràge zitr kunde mittelalterlicher d-chtung ans italiànischen Bibliothehen, Mannheim, 1844.
   (3) ver, Keller.
   (4) Errore manifesto del copista. Claren è da sopprimere, (o) chi a nor, K.
   (P>) abaci K.
   (7) spee K.
   (8) quo feu en cancnij K.
   (9) 0 K.
   (10) biando K.
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