J()8 CAPITOLO SECONDO.
^ si domanda corno avrebbe potuto esistere una lingua nella quale il dialetto di Francia e la lingua d'Italia « se seraient non pas fondus mais juxtaposes d'une facon si brutale » Come menè accanto a raina, porpora accanto a roé, vesiua accanto ad une farà accanto a colorò, venua accanto a discolorò? (1) Ma come, domanderemo noi nei documenti del 000 e del 1000, le parole latine accanto alle italiane non fuse'con esse ma appunto juxiaposés? Non è forse quasi la ipctizione dell! stesso fenomeno? Il fatto per noi è abbastanza semplice: due dialetti affini s incontrano, e. coabitano nello stesso paese, operando l'uno sull altro con mutua vicenda, dando e ricevendo. Nò si opponga che se ciò e possibile per dialetti della stessa lingua, ò impossibile per dialetti di lingue diverse Per molto tempo i dialetti delle lingue neolatine poterono dirsi ancora dialetti di una lingua sola; o sia l'Europa latina ebbe molti dialetti, ma non vere e proprie lingue. Nella stessa Francia settentrionale, la Normandia, la Piccardia, la Borgogna si divisero in dialetti e sub-dialetti, ognuno de' quali dovè passare per una lunga trasformazione influire sugli altri e ricevere dagli altri influenze, prima che tutti insieme venissero a comporre una lingua unica (2). Quello che era della Francia, e tanto più dell' Italia, specialmente al nord, dove, per ragioni antiche e nuove, l . separazione tra i dialetti francesi e italiani era meno assoluta e meno chiara che altrove, dove anzi vera separazione non c'era, ma quasi piuttosto degradazione e sfumatura di tinte: tanto è vero che anch'oggi l'elemento francese predomina in qJei dialetti, dopo tanti secoli di lingua e di letteratura. Non è dunque meraviglia se, in un dato momento, noi troviamo un idioma misto, che si ricongiunge per un lato all'Italia per l'altro alla Francia; o sia un dialetto parlato che tentando dii elevarsi a idioma letterario, ed incontrandosi in un altro idioma già scritto da molto tempo, e quindi più stabile, si incorpora in esso, e senza cancellare le linee essenziali delia sua fisonomia, le modifica però notabilmente. L'impronta rimane, coni è naturale auella del dialetto più nobile ; ma se la nuova lingua avesse avuto tempo di svolgersi, codesta impronta sarebbe andata a grado a grado cancellandosi, per dar luogo a forme più originali. Si obietta che la lingua del Ma,coire avrebbe dovuto essere parlata in tutto il paese dell'autore del poema, e che quindi non vi si noterebbero parole a schietta forma italiana, e parole a schietta lorma francese Ma l'obiezione non regge, perchè codesta lingua non fu certo parlata, ma fu anzi il resultato del tentativo di elevare la lingua parlata a lingua scritta. La ragione per la quale ora questo ibridismo ci salta agli occhi, non deriva se non da questo, che esso non ebbe tempo di costituirsi nella specie nuova a cui tendeva ma rimase fermo e si pietrificò in un momento transitorio.della sua vita, per il rapido sviluppo letterario di un altro dialetto.
Che cosa è questo Macaire? Non altro che un rifacimento fatto sopra una Chanson de gesle, oggi perduta, e nel quale si narra la vecchia storia del a Regina Sibilla (3) che si ritrova in Germania, ¦ O and a, in Ispagna e ini Interra (4). È una di quelle tante storie, che nel Medio Evo si dillusero in tutta 1 Eul
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m II signor Gautier non sa spiegare eome sieno possibili forme tanto barbare coij ,estua e venua, che non sono, egli diee, ne italiane nè franeesi. Ma, di grazia, il moderno
1 aletto veneziano non ha forse vcg*ua? E può far meraviglia. vestua per vestia c. per vestuta? Ed il venua scomunicato dal signor Gautier, non è forse in Beseapè: Veti la toa gloria a que sera venua? (Biondelli, St. Ling., pag. 226).
(2) Fallai, Réclierehes sur les form. gramm. de la lang. frane, et de ses dialect.
au XIII siècle, Paris, 1839.
(3) Cf. Mussafia, op. cit. pag. III. .... /Xt 11 ir™,
4 Cf Wolf Ueber die niederland. Volksbucher v. d. Kòniginn Sibille. (Nelle MerM
dell'.Acead. di Vienna). - Reiffemberg, Phil. Moushet, I, 610. - G. Paris, Hist. Poet. de diari., 389 segg.