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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   FATTI C1IF, APPARECCHIARONO LE PRIME MANIFESTAZIONI, ECC. 99
   lavoro del signor Guessard è intanto utile a noi per valutar meglio la lingua del codice veneziano: contentiamoci di citar pochi versi, i primi del poema:
   Testo Marciano.
   Or conteron d'une mervile gran Qe vene in Franca dapois por longo tan, Pois qe fo mort Oliver e Rolan, Li qual fi faire un de qui de Magan, Dont manti civaler mori di Cristian, E porlMachario fo tuto quelo eugan.
   Testo Guessard.
   Ci conterons d'une merveille grant Qu' avint en France moult grant piece a de tens Puis que mort furent Oliviers e Rolans: C'est de Maience d'un cuivert soduiant, Dont en morurent rnaint chevalier vaillant. Li fel Macaires ceste oevre ala brassant.
   Confessiamo che questa non ci sembra in verità restituzione di un testo alterato, sfigurato, spropositato; ma quasi vera e propria traduzione da una in altra lingua.
   In questi soli sei versi ce ne sono alcuni cosi diversi sostanzialmente fra loro, che, o bisogna supporre che il signor Guessard non abbia indovinata l'antica forma, e che lo scriba trasfiguratore del vecchio testo abbia a bella posta create delle forme tanto diverse dalla lingua da cui si vuole che copiasse. Ma perchè lo avrebbe egli fatto1? È una domanda così naturale che merita pure qualche risposta. Si dice, per farsi leggere od ascoltare dai suoi concittadini, i quali non avrebbero inteso una storia narrata loro nella schietta lingua dell'Ile-de-France. E sia. Ma codesto menante, che sottoponevasi a così grande fatica, non aveva egli, fra il XIII e il XIV secolo, un dialetto suo proprio nel quale tradurre, ridurre, compendiare il Ma-caire? E se lo aveva perchè non lo usò, preferendo invece di spropositare in francese ? 0, poniamo anche eh' egli avesse avuto questo gusto bizzarro : per chi dunque scriveva egli? Quella sua lingua che non è francese e non italiana, chi doveva intenderla, se essa non è altro che un continuato sproposito, se non è che una arlecchinata ? Possedere una lingua, come la francese, diffusa e notissima ai tempi dello scrittore ; possedere un dialetto, ed invece mascherare un vecchio testo, empirlo di capricciose scoppiature, di parole che cominciano francesi e Uniscono italiane, o cominciano italiane e finiscono francesi; e poi dire, venite, ascoltate, io ho scritto tutti questi spropositi per essere inteso da tutti; sarebbe veramente un fenomeno cosi strano da dover piuttosto supporre che l'autore del Macaire fosse stato un pazzo (1). Tutte le obiezioni che fa il signor Gautier (2) sembra a noi che si rivolgano contro di lui. Egli cita questi quattro versi (3):
   Davanti li rois fo la raina mené E fo vestua d' une porpora roé; Sa faca qe sol esser bel e colorò Or est vènua palida e descoloré ;
   (lj Vedansì intorno a ciò alcune molto savie osservazioni che fa il signor Pio Rajna nel suo scritto La Rotta di Roncisvalle nella Letteratura cavalleresca italiana, Propugnatore, III, 5, 6, pag. 397-98.
   (2) Les Èpop. frane., II, 525.
   (3) 444-417, ediz. Mussafla.