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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO SECONDO.
   Et autres cent destruir' et issilhar, Los bos levar, e 'ls fals e 'ls mais baissar; Anc lauzengier no vos poc azautar; Tanta veuva, tant orfe cosselhar Qu'en paradis vos deurian menar....
   Insieme a Rambaud de Vaqueires frequentarono la corte di Monferrato, Cauenet e Gaucelm Faidit; quest'ultimo ricordato da noi, dove parlammo di Alberto il Marchese. Egli veniva in Italia a cercarvi la dimenticanza del suo infelice amore per Maria dfventadour; ma dopo poco, non reggendo a viver lontano da lei, ritornava ai piedi dell'idolo superbo, pur volgendo sempre il suo pensiero al Monferrato^!I).
   Sono questi i più antichi trovatori di cui rimanga memoria che abbiano visitata l'Italia, dal 1175, circa, fino al 1200. Cresce grandemente, dopo questo tempo, il loro numero. Se prima essi passavano dalla Provenza all'Italia in cerca di fortuna, di amori, di avventure, ora noi li vedremo spinti da ragioni troppo diverse verso le nostre terre. Sappiamo già quello che fossero i paesi meridionali della Francia; già abbiamo rapidamente veduto in mezzo a quale società si sviluppasse quella elegante poesia, e tutto quell'insieme di civiltà cavalleresca, dove i canti, l'amore eia donna erano oggetto di culto appassionato, dove il feudalismo non impediva quasi una specie di democrazia poetica (2), che alfratellava il povero al ricco, il vassallo al signore ; dove la scolastica era bandita dalla balda canzone d'amore, dove la terra non si malediva per il cielo, dove il corpo non si macerava per 1' anima. Codesta società non era cattolica. La sua civiltà e la sua cultura le rendevano insopportabile il dispotismo religioso del papato; le sue intime relazioni coi Mussulmani e cogli Ebrei avevano distrutto in essa i pregiudizi occidentali (3): i valdesi ed i manichei, come sette religiose, tenevano il campo; le moltitudini non credevano agli uni più che agli altri, ma si all' amore, alla gioja e alla giovinezza, come già aveva cantato u verso di Guglielmo di Poitiers. Che è ciò? Vi è dunque un popolo nel cuore de'-l'Europa, alle porte d'Italia, che si ribella al pastore di Roma, al signore de-l'oriente e dell' occidente, al padrone delle anime, al re dei re, al successore d'Ildebrando ^ Che è questa ricchezza, questa industria, questa libertà? che sono que.^e feste, queste canzoni, queste galanterie? Oh attendete! Chi medita la vendetta contro l'empia terra non manca : Roma prepara le sue armi pietose. Queste belio Provincie che hanno tanto giovato al risorgimento della civiltà occidentale, queste città intelligenti e fiere dove la libertà si è sviluppata così nobilmente, questa le -teratura immortale, questa società senza pregiudizi feudali, tutto sta per esser distrutto in un mare di sangue (4). Roma tra breve avrà vinto.
   Già fino dal 1198 due Cistercensi portavano in Provenza i primi segni dell ira cattolica di Innocenzo III. Due nuovi legati vi giunsero nel 1203, uno de' quali, Pieno di Castelnau, che fu poi il San Pietro martire ; e ad essi si aggiunse queir Arnaldo Amauri, abate de'Cistercensi, che, come dice il Martin, sotto la tonaca di frate
   (1) Chansos vai tost e corren
   Al pros Marques de cui es Monferratz, Dill que greu m' es, car lai non soi tornatz.
   (2) Cf. Fauriel nella Introduzione alla Chronique des Albigeois, pubblicata nella Col-lection des documents inédits sur V Eistoire de France, Paris 1837. «La chevalerie était devenue une espèce de lien entre les villes et les cours, entre la démocratie et la t'eo-dalité. » ecc.
   (3) Cf. Martin, Hist. de France, III, 373, segg; IV, 16, segg.
   {i) Martin, ivi, 22.
   ii