FATTI C1IF, APPARECCHIARONO LE PRIME MANIFESTAZIONI, ECC. 79
Alamans trob descliauzitz e vilas ....
E lor parlars semi® lairar de c-as,
Per qu' ieu no vuelli esser senhors de Friza . . .
Ans vuelh estar entr' els Lombartz joyos
Pres de mi dons qu' es blanqu' e blond' e liza.
E pus mieus es Monferrato e Milas
A mon dan giet Alamans e Ties,
E si m creira Richart reis dels Engles
En breu d'ora tornara per sas mas
Lo regisme de Palerm' e de Friza,
Quar lo conquis la soa rezemsos . . .
Celebri sono le vicende di Rambaud de Yaqueires, del quale già dovemmo occuparci parlando di Alberto Malaspina.
Figliuolo di un povero cavaliere della contea di Orange, che era tenuto per pazzo, egli si fece poeta di corte di Guglielmo IV di Orange. Dopo varie vicende, e dopo aver dato molti saggi del proprio valore poetico, abbandonò Orange (1189 o 1190), e volse i suoi passi all' Italia. Fermatosi a Genova, si abbattè in una donna a cui dichiarò l'amor suo, e ne fu rigettato. Ed ecco nscirne quella canzone bilingue, nella quale il poeta fa parlare la donna in un linguaggio mezzo tra genovese e provenzale, e che è il monumento più antico, che ci rimanga di un dialetto italiano (1). Questa canzone fu già pubblicata nel Parnasse Occitanienne e dal, Raynouard, scori ettissimamente ; appresso, emendata sul Codice Estense, e sopra altri codici, ci fu data dal signor Galvani (2), nella forma seguente :
Rambaldo.
Domna, tan vos ai pregada, Si us platz, qu'amar me volhatz, Que sui vostr' endomeniatz, Quar etz pros et enseignada, E totz bos pretz autreiatz,
(1) Sembra che Rambaud de Vaqueires si dilettasse d'introdurre nelle sue poesie anche altre lingue: tutti conoscono il celebre Dcscort (Vedi Raynouard, Choix, 11, 225 e segg.), dove è pure una strofa che il Crescimbeni credè di poter ridurre alle forme italiane, e che è questa :
leu sui selli quo be non ayo, Ni jamais non l'averò, Per abrilo ni per mayo, Si per mia dona non l'ò; Certo que en son leguaio, Sa gran beutat dir non so : Plus fresqu' es que flors de glayo, E ja no m' en partirò.
Confessiamo sembrarci questo quello che osserva Diez, che sarebbe difficile (tanto per questa strofa come per le altre) precisare i dialetti che il poeta ha inteso di riprodurre. Cf. Diez, Poes. d. Troubad., 118.
(2) Un monumento linguistico Genovese dell'anno 1191, nella strenna filologica Modenese per l'anno 1863, pag. 84-91.