CAPITOLO Vili. — GLI SCRITTORI D'AGRICOLTURA ED ARTE CULINARIA. 545
sia a suo luogo tenuto discorso nella storia nostra^ un altro Rutilìo, un Claudio Rutilio Numaziano, o Namaziano che sì a. Era delle Gallie, ma stette a Roma ove esercitò alte cariche. Se non che, quando i Visigoti guastavano la sua terra natale, egli ci tornò; e dopo desci sse il suo viaggio in un poemetto elegiaco (Itinerarium, 0 De reditu o De redita suo), in due libri, de'quali il secondo è in massima parte perduto. Il poemetto non é brutto; ha bei tratti descrittivi, e. molta correttezza di forma. Mostra inoltre che l'autore era un pagano e stoico, accanito contro il giudaismo, il cristiane rao e t monachismo. Contiene poi anche la data in che fu composto, giacché, al verso 135 e seguente del 1.° libro, dice apostrofando Roma :
Quaravis sedecies denis et mille peractis Annus praeterea iam tibi nonus eat.
Che è a dire l'anno 1169 ab. TJ. C. secondo l'èra varroniana, quindi il 416 d. C. (4).
Or, per tornare al nostro soggetto, in cotesto poemetto (al verso 207 segg. del 1. L) trovasi fatto cenno di un Palladio, figlio di Essuperanzio, e facondo giovane di Gallia, e parente di Rutilio Namaziano. E cotesto Palladio alcuni credono non sia altro che il nostro Palladio Rutilio Tauro Emiliano, il quale così verrebbe ad appartenere al quinto secolo. Dir che ciò sia impossibile sarebbe strano, ma dire che sia certo non lo sarebbe meno. Ad ogni modo, quest'opera De re rustica, di cui l'autore ci è così poco noto, fu dal canto.suo assai nota e letta nel medio evo, il che fu dovuto forse principalmente al grande ordine intrinseco di essa, che, dopo avere nel primo libro trattato delle cose più generali, nei dodici libri successivi espone via via le fatiche campestri che corrispondono ai dodici mesi, e da ultimo il libro quattordicesimo, (ad imitazione di ciò che avea fatto Columella), lo dà' in forma poetica, e vi tratta de insitione. Ed anche un'altra cosa la raccomandò forse al medio evo, cioè la sua forma piuttosto nuda, incuriosa dell'arte, e meramente intenta ad un line pratico; forma che 1' autore adottò per progetto, giacché secondo lui (I, 1, 1) formaior agricolae non debet artibus eteloquentia rhetores a.emulari, quod a plerisque factum est. Ma al non volere si univa in lui il non sapere; dappoiché il quattordicesimo libro stesso, che certo, se lo scrisse in versi (sono 85 distici), vuol dire che non lo fece senza pretese di arte, è pure piuttosto monotono, pesante, ed in un metro, qual è l'elegiaco, punto conveniente al soggetto. Il qual metro del resto fu da lui trattato senza scorrezioni metriche.
Fra quelli che Rutilio cita come sue fonti vi è Oargilio Marziale, il quale trattò, assieme all'agricoltura propriamente detta, anche l'uso medievale dei prodotti agricoli, e la veterinaria. L'opera sua, De hortis, è andata perduta. N'era dapprima noto un piccolo brano, Curae boum ; dopo, il Mai ci diede altri più grandi brani, De ar-boribus pomiferis, e quindi De pomis seu medicina ex pomis. Se, come è probabilissimo, questo Marziale è quello stesso che scrisse intorno ad Alessandro Severo, l'età in cui egli visse è appunto quella del regno di tale imperatore; se no, non si potrebbe dir nulla.
Così pure ignota ci è l'età e la vita di Apicio Celio, autore di un'opera De re coquinaria in dieci libri. Ai ciò fu nome famoso di ghiottoni; ma il più formidabile fu quello vissuto sotto Tiberio, che Dione Cassio chiama Marco Qabto Apicio, e che non dev'esser diverso da quello di tal nome che, sciupato in ghiottornie tutto l'aver suo, si avvelenò. Pare egli scrivesse di cucina. Ma l'opera che ancor noi possediamo, che è una sequela uii r cette culinarie, e di alcune mediche perfino, ricette spesso con titoli greci, opera che dev' essere non anteriore alla prima metà del terzo secolo, e forse anche ben posteriore, non dev'essere certo di quel tale Apicio. E forse questo non è punto il nome dell'autore, bensì un titolo; giacché niente di più naturale che un'opera di culinaria portasse per titolo il nome di chi s'era fatto tanto onore nell'arte.
(1) Vedi IV, 10, 16 e 24.
(2) << Dichiarazione dì una lapide gruteriana, per cui si determina il tempo della pre Tamagm e D'Ovidio, Letteratura Romana. 69