544 LIBRO SECONDO — PARTE li. — RACCONTO. I PROSATORI.
Narcissum aut flexi tacuissem viinen acanthi Pallentisque hederas et amantis litora myrtos,
Veruni haec ipse aquidera spatiis axclusus iniquis Praetereo atque alhs post me memoranda relinquo.
Che è come dire; « è vero che son già vicino al termine delle mie fatiche, e ormai son per ammainare le vele e navigar verso terra, (che è il dantesco: Non mi lascia più gir lo fren dell'arte), ma forse, quasi quasi, mi metterei anche a parlare della coltura degli orti, con tutto che noti sia un soggetto scevro di difficoltà. » L'esserci nella proposizione, contenuta ne' primi due versi, due congiuntivi presenti, mentre la proposizione seguente ha un congiuntivo imperfetto, mostra che oltre a quella prima condizione di fatto (ni traham, ecc.) è qui inclusa e sottintesa una condizione supposta nel forsitan e a questa corrisponde il canerem. È un periodo doppiamente ipotetico, in cui la apodosi è (ideologicamente, se non materialmente) composta di un' altra frase ipotetica in se stessa,
Columella nei suoi dodici libri abbraccia 1' agricoltura in tutta la sua' estensione, e mette a profìtto quanto di esperienza egli attinge dalla pratica del tempo suo, e quanto gli dà la letteratura agraria; eppur confessa che non la pretende a riuscire completo, e pretende non già di dire quae vastitas eius scientiac coniineret cuneta.., sed plurima.
L'autore ci accenna egli stesso, nella sua opera superstite, d'aver composto dei libri, per noi perduti, contro gli astrologi ; e promette (ma non sappiamo se la sua promessa l'abbia attenuta) uno scritto sugli antichi sacrifica e lustrazioni campestri.
(1) Divin. Lect. 28.
(2) N. H. XIV, 1.
(3) Georg. IV, 118 segg
Bibliografia. a) Codici.
L'opera di Cominella fu relativamente poco citata ; pur ce ne son giunti non pochi manoscritti, elio aspettano però ancora chi li classifichi a dovere. I migliori a ogni modo sono i fiorentini, ed il Sangermanese che è a Parigi,
b) Edizioni.
Oltre le edi&ioni generali, delle edizioni a parte noteremo quella di Ress (Flensburg, 1795); e del X libro (De cultu hortorum) quella inserita nei Poeti lat. minores del Worns-dorf (VI, 1, p. 1-131).
§ 115. Failadio, àpicio Celso ed altri.
Abbiamo un'opera De re rustica, in quattordici libri, di un Palladio Rutilio Tauro Emiliano.' quale quasi nulla si sa. Visse ben probab.)mente nel quarto secolo, e di qualunque patria fosse nativo, certo visse in Italia ed ebbe fondi nella Sardegna e nel Napoletano; nei quali fondi dice aver fatto la prova di certe piantagioni (1). Il quattordicesimo libro lo dedica a un Pasifìlo; e, trai diversi che conosciamo di un tal nome non si sa se debba credersi che Palladio accanii1' a quel che fu prefetto della città nel 355 d. C., come sostiene il Borghesi (2), oppure a quel filosofo che salvò la vita ad Eutropio (3) nell'anno 371, ovvarainente a quello che è nominato dal Codice Teodosiano (II, 1, 8) nell'anno 395.
Altri ha fatto circa il nostro Palladio Rutilio qualche altra supposizione. Esisto nella letteratura latina (e ci duole che per uno strano concorso di casi non se ne
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