528U LIBRO SECONDO. — PARTE II — RACCONTO. I PROSAToRL
Per vedere ogni ben, dentro vi gode L'anima santa che.il mondo fallace Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace Giuso in Cieldauro (1), ed essa da martiro E da esilio venne a questa pace
(1) È appunto la Chiosa di S. Pietro in Pavia che è detta in del d'oro, chiesa ora mezza diruta, e ridotta all'unni servigio di fenile per l'artiglieria! Ora il cadavere è in Duomo,
B) Opere.
L'opera maggiore di Boezio, quella, che a cM ben ode quel che vien da lei, fa manifesta la fallacia dei beni mondar. , è la celcbie opera, De consolaHone philoso-phiae, in cinque libri, ove la forma prosastica è di quando in quando spezzata da intermezzi poetici. Vi m cerca una conciliazione della bontà divina con 1' esistenza del male, della divina provvidenza con la libertà umana, e ciò in forma di un dialogo tra l'autore e la filosofia, la quale apparisce a lui nel carcere e lo consola col richiamarlo aila considerazione di una provvidenza, che sebnene spesso resti occulta ai mortali, pure tutto suol volgere al bene, e col dimostrargli assurdo il lamentarsi dell'incostanza della fortuna, e cosa certa invece che nella virtù soltanto risieda la vera felicità. Tutto il tono dell' opera sente di platonismo e di stoicismo ; e dimostra uno scrittore a cui i classici eran famigliarissimi, essendoché sia pura e fluida la sua prosa, armonici e ben costrutti, metricamente parlando, i suo'versi, e lo stile sempre alto e dignitoso. Tutto ciò détte all'opera grandissimo credito nel medio evo, sicché la fu tradotta in anglosassone, in autico-alto-tedesco, in .fiammingo, in volgare d'oil, in greco ed in altri idiomi. Quello adunque che Dante dice nel Convito: « E misimi a leggere quello, non conosciuto da molti, libro di Boezio, nel quale , cattivo e discacciato, consolato , s' avea (1) », non è cot-a da prendersi troppo nel seri): è uno di quei lamenti che talvolta fanno gli uomini studiosi, che non essendosi sentito da quei pochi che li circondano raccomandar gran fatto un dato libro e quindi non avendone concepito grande aspettazione, quando poi lo leggono e . trovano più che non sVama^ nassero di trovarvi, provano quasi un certo sdegno che non lo abbiano sentito dagi. altri lodare abbastanza, ed insieme quasi una compiacenza d'avere scoperto un tesoro non visto da altri, e ispirati da questi due sentimenti, esagerano un poco l'abbandono in cui quel libro secondo loro è stato lasciato, E che appunto un'esagerazione di cotesto genere sia in Dante, ve n' è (oltre le prove positive che già abbiam citate della diffusion del libro di Boezioì una prova nelle stesse parole di Dante, il quale dopo il periodo da noi riferito prò» segue: « E udendo ancora, che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando dell'amistà, avea toccato parole della consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, nella morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello >. Or ai tempi di Dante il numero de classici antichi che capitavano nelle mani degli studiosi'era limitatissimo; quindi il solo essersi Dante messo a leggere, come il Laelius de ami-, citta di Cicerone, che era dei pochi libri allora diffusi, cosi ancora il libro De consolatane philosopliiae, ci fa intendere come allora questo ull aio libro dovesse essere , ci sia lecito dire, nel repertorio de' testi antichi soliti a leggersi comunemente.
Serviron pure di testo alle scuole medioevali le compilazioni e le traduz mi dà Aristotile, che fece Boezio ; nel quale però non era ancora un'esclusiva predilezione per Aristotele, £ acchè tendeva eg' anzi ad una certa conciliazione dell'aristotelismo col platonismo. Ad ogni modo, questi sono gli scritti suoi a noi pervenuti: a) Dialogi II in Porphy riunì a Victorino translatum; b) Commeniariorum in Porphyrium a se translatum libri V; c) In Aristoteli,s categorias Commenlariorum libri V; d) In Arisioielis librum de Interprciatione ediiionis primae seu minorum Commentario-