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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO Y. — I FILOSOFI.
   517
   (7) Pur da S Girolamo (De scriptor. eceles. 12). Cfr. Agosfc. Epist. 153.
   (8) Veggasì Fieury, St Paul et Senèquc ; Paris, 1853, 2 voi.; Aubertin, étude eritique sur les rapports supposés entro Senèquo et St Paul, Paris 1857, p p. 444, a Seuèque eG St. Paul, Paris 1869.
   B) Operai.
   Seneca scrisse di tutto, e in tutto fece prova, 3e non di gusto corretto, certo di vivacissimo ingegno; si da far dire a Quintiliano, doversi veramente deplorare che Seneca, mentre riusciva a tutto quei che voleva, non avesse voluto un po'meglio di quel eh'oi fece: « digna enim fuit ipsa natura, quae meliora vellet, quae quid voluit eftecit ».
   La cronologia delle opere senecane si può stabilire a un dipresso cosi: prima dell'esilio dell'autore (41 d. C.) epperò sotCo Caligola, furono composti gli scritti sull'Egitto e sull'India, com'anche la Consolatio ad Marciana; durante l'esilio, gli epigrammi, fors'anche una parte delle tragedie, la Consolatio a sua madre Elvia ed a Polibio, e il panegii .co, posteriormente soppresso, di Messalina; tosto dopo il rimpatrio, furon dati in luce gli scritti De tranquillitate animi, De ira e De brevitate vitae; dopo la morte dell'imperator Claudio, 1''Atto-aoìoxJktwoi,-; ne'priir anni dell'impero di Nerone, i libri a lui diretti De clementia, e lo scritto dedicato a Novato (Gallione) De vita beata, e i libri De beneficiis, e il De constantia sapientis, ed anche un'altra parte delle tragedie; dopo il ritiro dalla corte alla vita privata, il De otio adSerenura, e le opere, indirizzate a Lucilio, De providentia, e Quaestiones naturales e le lettere, Naturalmente alcuni punti di questo schema cronologico son soggetti a discussione non lieve.
   Pacciam cenno in priino luogo dei tre libri De ira ai1 Novatum, cui Seneca s'erisse ad istigazione del suo maggior fratello Novato, che voleva saper da lui come si possa domare una passione cosi potente com'è l'ira. Nel primo libro l'autore si diffonde sopra l'ira in generale; nel secondo risale all'origine di essa; nel terzo addita i modi come domarla. Tutto ciò fa dal punto di vista stoico, assolutamente, ma l'interesse è accresciuto dagli esempi che arreca.
   Il De consoiailone ad Ilelviara matrem Iiber è notevole per ciò che è scritto per consolar la madre, mentre egli, il figlio, era ancora più sofferente di lei.
   Il De consolatione ad Polybium lo scrisse Seneca, nel terz'anno del sue esilio, per consolar Polibio, il colto ed influente liberto di Claudio, che avea perduto un fratello. Il principio dello scritto manca. Qualche erudito ; notate in questo scritto alcune cose non troppo stoiche, credette di dover dubitare che Seneca lo destinasse alla pubblicità, e qualche altro anzi finì per convincersi che esso non sia davvero opera di Seneca. Ma nessun argomento estrinseco ci autorizza a supporre una tal cosa; e d'altronae nè la lingua nè i pensieri ci obbligano a credeiv l'operetta indegna del filosofo cordovese. Quella certa adulatone che in essa è fatta a Claudio e al suo favorito Polibio era abbastanza naturale che venisse fatta da un esule, com'era Seneca, che non desiderava altro che commuovere l'imperatore a richiamarlo finalmente a Roma.
   Il De consolatione ad Marciam fu scritto forse prima dell'e^Ao, a Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, che scontò sotto Tiberio la pena del suo libero animo, per consolarla della morte di tanto padre; all'occasione forse, che Caligola ordinò si restaurassero gii scritti dello storico.
   Quare aliqua incomoda bonis vim acc:dant, cum providentia s't, seu De providentia, fu uno scritto indirizzato a Luci! ) juniore, procurator di Sicilia. La questione quivi posta, cioè come intervenga che spesso i tristi prosperino e i buoni vadano al fondo, vi è risoluta al modo stoico, e unico limedio a'ie avversità vi è consigliato il suicidio; ma pure l'esistenza d'una provvidenza vi è provata cou l'andamento evidentemente tutt'altro che casuale della natura.