532 LIBRO SECONDO. — PARTE ii. — RACCONTO. I PROSATORI.
Una bugia è la pretesa scoperta d'un quarto libro dell'opera onde si tratta; il quale fu dato, fuori il 1811 a Bonn (18).
Subito dopo, Cicerone scrisse e dedicò ad Attico il Caio Major seu De senechUe, clie è un dialogo supposto avvenuto tra Scipione juniore, Lelio e Catone il vecchio, il 604 d. R. vale a dire l'ottantaquattresimo anno di Catone e l'anno prima che egli morisse. Il dialogo si potrebbe quasi dire monologo, tanto a distesa parla Catone dei vantaggi della vecchiaia, dimostrandoli con ragioni ricavate da Platone, Senofonte. Ippocrate, Aristone lo stoico e via via. Vi è pure accuratamente descritto il carattere di Catone; ed il libro, a dire il vero, fu molto caro a Cicerone, che lo volle altresì ritoccare (19); e non solo all'autore fu gradito, anzi ebbe lettori moltissimi e molte edizioni (20).
A compimento dell'opera sulla divinità scrisse Cicarone, subito dopo, due libri De divinatione, in forma anch'essi di un dialogo tra l'autore e suo fratello Quinto. Questi, nel primo libro, onde mancaci la fine, dice le ragioni specialmente degli stoici sull'arte mantica; nel secondo l'autore stesso le ribatte, sulla scorta particolarmente degli Academici. Nonostante che egli cansi di troppo compromettersi, pur lascia spesso intravvedere il suo scetticismo. Crisippo, Diogene, Posidomo, Car-neade, Panezio, ed altri, sono stati le sue fonti (21).
A compimento della filosofia della religione, trattata nel De deorvm natura e nel De Divinatione, volle Cicerone aggiungere il De fato, dialogo tra lui ed Irzio, ove le dottrine stoiche sul fato sono ribattute dal punto di vista della scuola aca-demica. Fonti a cui particolarmente attinse l'autore, sono Crisippo, Posidonio, Cleante, Diodoro, Cameade ed altri. Di questa opera ciceroniana, che qualcuno senza salde ragioni credette constasse di due libri, del quale un solo fosse a noi pervenuto, mancaci il principio e la fine, ed è essa qua e là lacunosa. Pretese bensì averne, trovati parecchi nuovi frammenti il Sig. Luigi Crisostomo Ferrucci (22), ma dal Ritsclil e da altri fu dimostrato l'inganno (23).
Tosto dopo il Cato major, e prima degli Officii, scrisse il Lcelius s.deamìcita, dialogo che si pone tenuto il 625 tra Lelio juniore e i suoi generi C. Fannio Strabone e Q. Muzio Scevola, ntorno all'amicizia, circa cioè l'essenza ed il pregio di essa, e come la sua base sia la virtù, e quali vicendevoli doveri ella importi. L'esposizione non è condotta a fil di logica, anzi è popolare e pratica; ma è insieme piacevolissima. Sebbene questo libro abbia quel che si direbbe colorito locale romano, tuttavia Cicerone nello scriverlo usufruì dell'opera, ora perduta, mpì yétas di Teofrasto, e di Crisippo e di altri (24).
Nell'anno 710, prima degli Ufiìcìi, scrisse Cicerone due libri De Gloria (25). Ma nulla ne possiamo dire, perchè son perduti. Pare che il Petrarca ne possedesse un codice (26), e che prestatolo al suo maestro il Convenevole (27), non lo riavesse più e il codice si smarrisse; ma non fondata è la supposizione, che Pietro Alcioni, umanista della rinascenza, lo bruciasse per occultare il plagio che n'avea fatto nel suo scritto De exsilio.
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Altro frutto dell'ozio forzato a cui Cicerone fu condannato dalla prepotenza che successe a quella, parsagli già sì grave, di Giulio Cesare, furono i tre libri De offìciis. Nel Giugno del 710 scriveva ad Attico di occuparsene (28) S'imbarcò poi egiì per la Grecia, a visitar suo figlio Marco allora studente ad Atene, al quale dedicò poi l'opera di cui si tratta; ma il vento gli fu contrario, ond'egli rimise piede in Italia ed andò poi sul finir dell'Agosto a Roma, a ciò istigato dal suo partito. Distratto da ciò e dalla lotta che intraprese contro Antonio ( la prima Filippica fu del 2 Settembre ) interruppe l'opera sui doveri. Pur la riprese tosto, e n'avea