CAPITOLO Y. — I FILOSOFI. 511
ispecie, ed inoltre da Crantore e da altri academici, e da Platone: da Aristotile, no. Scrivendo, ad Attico Cicerone gli chiedeva de' libri di Dicearco da giovarsene per ciò che allora meditava, che eran di certo le Tusculane (12). Destinate queste ad un pubblico largo anziché a cultori speciali della filosofìa, sono composte in forma piuttosto oratoria, e non scevra di molti anacoluti, che conferiscono a dare spigliatezza popolare al discorso (13).
Posteriormente agli Academica scrisse Cicerone il Timceus, libera parafrasi del celebre dialogo platonico,, forsé per incorporarla a più grossa opera (14). Ad ogni modo, di cotesto Timaeus, che è possibile che Cicerone stesso non finisse, non ci è arrivato se non qualche frammento, ed uno anzi piuttosto lungo, a cui è attaccato (non certo dall'autore) anche il titolo De Universo o de Univer•• sitate (15).
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Al De fìnibus e alle Tusculance si riconnette per la tendenza pratica il De Deorum natura, dedicato a Bruto, clie Cicerone scrisse probabilmente nell' estate del 709, e ad ogni modo prima dell'uccision di Cesare, perciò che nel §. 4 del primo dei tre libri di cui l'opera consta, egli dice tal cosa, che difficilmente avrebbe detta dopo la morte di Cesare, cioè dopo la rinata speranza di restaurazione della
libertà repubblicana; dice insomma « cum..... il esset reipublicae status, ut eam
unius Consilio atque cura gubernari necesse esset >\ A quei tempi la plebe era superstiziosa ed ignorante, l'aristocrazia delle menti era miscredente e teneva la religione come un mero strumento di governo. A riparare a cotesto duplice male, e alla corruzion morale che ne conseguiva, Cicerone si propose con l'opera sua di inculcare e diffondere una retta cognizione della divinità. Naturalmente, se su altri punti di filosofia Cicerone non potè dar prova d'originai forza speculativa, tanto meno il poteva in quanto alla teologia e alla teodicea, che nel paganesimo erano oramai ridotte a non poggiare più su nessuna salda base razionale, Al solito dunque, egli ricorse alle dottrine de'Greci; e le discusse nella consueta forma d'un dialogo, che pone avvenuto nelle ferie latine del 677 d. R. o giù di li. Nel libro primo, dopo una rapida e non sempre esatta scorsa sude dottrine delle scuole anteriori, la dottrina di Epicuro viene esposta dal senatore Cajo Vellejo, che n' era zelante seguace, ed a cui una confuta,zione dal punto di vista della scuola academica oppone Cajo Aurelio Cotta. Nel secondo libro Quinto Lucilio Balbo propugna la dottrina stoica, e con una larghezza che fa indovinare esser dessa tra l'altre la più vicina al vero per Cicerone; benché poi, nel libro terzo, Cotta vi contrapponga le obbiezioni escogitate dalla speculazione academica. Del resto, la teologia ciceroniana, astringerla bene, è, come sempre suole in epoche di dissoluzione d'una religione stata a lungo potente, ed in menti facili a guardar le cose da più aspetti senza sapersi risolvere, è ridotta, dico, speculativamente, a sostenere, che qualcosa di superiore alla natura vi debba essere, perciò che la pulcritudo mundi ordoque rerum ccelestium obbliga ad ammettere prcesiantem aliquam ceternamque naturam et eam suspiciendam admirandamque hominum generi (16); e praticamente, a consigliare di mantenere senz'altro i riti e le istituzioni religiose dei maggiori, poiché dovendo prestare a quel non so che di divino un culto estrinseco qualchessia, meglio è prescegliere tra tutte le religioni positive quella che già si ha per tradizione. Ma-jorum instituta tueri, sacris cceremoniisque retinendis, sapientis est, dice nel luogo già citato della Divinazione, Cicerone, e fa ripetere enfaticamente da Cotta nel De deorum natura (17j: « eas (sa.cra, ceeremonias, religiones) defendam sem-per, semperque defendi; nec me eoo ea opinione quam a rnajorum accepi de cul-tu deorum immontalium, ullius unquam oraiio aut dodi aut indocti movebit ».
Principal fonte per U teologia epicurea fu a Cicerone lo scritto di Fedro ir-pi e=<»v; per la critica dell'epicureismo, lo scritto su tal soggetto dello stoico Posiclonio; e e per lo stoicismo propriamente, le opere di Cleante, Crisippo, Zenone; e per la speculazione academica Cameade e Chtomaco,