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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO Y. — I FILOSOFI.
   509
   liberali, del trivio e quatrivio (grammatica, dialectica, rhetorica, geometria, arith-mciica, astrologia, musica, medicina, architectura). Nulla nulla ci resta del De forma philosophiae (libri III), citato da Carisio, che è forse una cosa con quel Iiber ae phi-losophia, di cui dà qualché ragguaglio S. Agostino (3), onde si rileverebbe che in tale opera Varrone esponesse le varie opinion de' filosofi antichi, specie di Antioco, sopra il sommo dei beni. Alle dottrine pitagoriche doveano accennare i nova libri De principiis numerorum.
   (1) Vedi Chappuis.. fragments des ouvrages de V. intit. Logist.. Hebdomades,... de forma phil., recueillis etc. Paris 1863, 122 pp. e Krahner, Varronis Curio de cultu deorum, Fried-land 1851, 23 pp.
   (2) L'ottavo libro, de medicina, ne fu scritto nell'ottantesimoterzo anno dell'autore; stando a ciò che dice Plinio (N. H. XXIX, 4, 65): « cunctarer in proferendo ex bis remedio ni M Varrò LXXXI1I vitse anno prodidisset ».
   (3) De civ. Dei, XIX. 1-3.
   § 97. il. Tullio Cicerone.
   Cicerone fu un gran dilettante di filosofia, che i sistemi e le opinioni dei filosofi greci espose in forma lucida ed elegante, rilevando di ciascuno e di ciascuna il lato plausibile. Chi ce lo volle dare per un filosofo importante mostrò d'ignorax-e che cosa importi filosofia. Un ornamento dello spirito, una ginnastica dell'ingegno, un esercizio d'eloquenza didascalica fu la filosofia per Cicerone. Difatti, cominciò ad un certo punto a tirar giù libri filosofici a tutt' andare, e avea una collezione di proemii, che poi appiccicava a questo o quel libro via via che li componeva, tanto che qualche volta commise la distrazione di mettere lo stesso proen io a due libri diversi. « Ilabeo voiumen prooemioriura (scrive ad Attico): ex eo eligere soleo, cura aliquod vvyypxppa. institui » (1).
   Nel 700 d. R. scrisse i sei libri de republica ad Alticum, in forma di un dialogo che suppone avvenuto il 625 tra Scipione jun- >re, Lelio ed alcuni altri amici. Imita in esso la Repubblica di Platone, ma mira a considerazioni più pratiche e speciali allo stato di Roma, sicché si giova molto di Polibio. L'opera andò presto perduta. Una parte del sesto libro, il così detto Somnium Scipionis, rimase sempre noto, mercè Macrobio che lo commentò Ma nel secondo decennio poi di queste secolo, Angelo Mai scoperse in un palinsesto vaticano quasi tutto il libro primo, una gran parte del secondo, con frammenti deg . altri libri; e da tutto ciò, insieme coi frammenti già innanzi conosciuti, ne compose un tutto (2), che attirò assai l'attenzione degli uomini colti. Tutti sanno della bella Canzone che, a proposito della fortunata scoperta, diresse al Mai il giovane Leopardi.
   Dopo la Republica, Cicerone mise mano all'opera, in forma pure d. ilogica, De legibus; ma, interrotto dall'andata in Cilicia e dalla guerra civile, non la riprese che nel 708. Pure, non deve averla finita, nè deve averla pubblicata egli stesse, giacché nelle sue lettere nè altrove egli non ne fa mai menzione; oltreché essa esordisce proprio col dialogo, senza il solito proemio, che Cicerone ci avrebbe certamente attaccato quando l'avesse pubblicata luì. In Macrobio (3) si cita un libro quinto de legibus, e forse ve n'era anche un sesto, per l'appunto come la Republica, ma a no non ne restano che tre libri, non senza lacune, con frammenti degli altri (4).
   Nell'aprile 708 compose i Paradoxa, dimostrazione più rettorica che filosofica di se massime stoiche di apparenza paradossale. Li diresse a Bruto, dopo che a questo aveva già dedidato il De claris oraioribus, e prima che giungesse la nuova della morte di Catone, del quale parla come di persona ancor viva (5;.