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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   libro secondo. —¦ parte i. — i poeti.
   Fu gran merito d'Orazio (li non lasciarsi sedurre, come i poeti romani furon soliti, dai modelli artificiosi alessandrini, e di ricorrere invece ai modelli veramente classici, come pure di avere tra questi prescelto, per uniformarvisi, lidlto-stochè i Dòri (dei quali la lirica corale> che tanto fondava sulla parte musicale ed orchestica ed aveva uno special carattere rituale, assai poco si sarebbe prostata ad accliniarsi in estraneo paese), gli Eoli. Alceo, Safio, non meno che Anacreonte, la poesia de' quali aveva un'indole più conforme all'umana natura >11 genere. E da costoro egli talora traduce addirittura, ovvero le più volte ne riproduce con molto garbo il fondo di un componimento infondendovi elementi nuo d e appropriati; senza dire poi delle molte reminiscenze che qua e là occorrono ;n lui sì da cotesti lirici e sì dai poeti greci in generale (3). Ma non tutto è imitazione e reminiscenze, ed anche dove queste sono non c'è alcuna servilità, sicché nulla sarebbe tanto ingiusto e superficiale quanto il dire, come fece .1 Foscolo allegoricamente (4), che la lirica oraziana sia nient'altro che un bel mosaico di frammenti lesbiaci.
   Anche nei metri, specie nell'alcaico e nel saffico de' quali fece larghissimo uso, impresse alcuni caratteri che in greco ei non aveano ed a lu erano suggeriti dall'indole della lingua latina. Là dove in greco il metro permetteva semplicemente la sostituzione dello spondeo al trocheo, 0 talora al giambo, egli una tale sostituzione la pose per obbligo; e solo a questo si sottrasse nel 1. I, ode 15, vs. 24 e 36, e nel III, 3, 17. Parimente per anacrusi nel verso alcaico assunse sempre una sillaba lunga, fuorché cinque volte nel libro primo, tre nel secondo, due nel terzo, ma senz' alcuna eccezione nel libro quarto. E per la giustissima presunzione che solo alla lettura e alla recitazione e non al canto dovessero le sue liricie esser destinate (5), egli attese di proposito alla cesura, non altrimenti che se fossesi trattato di verso eroico. Ne è prova, ad esempio, questa; che il terzo verso della strofe alcaica (di nove sillabe, cioè un'anacrusi e quattro trochei, di cui il terzo normalmente sostituito dallo spondeo), nelle odi dei due primi libri lo divideva al modo stesso dei due primi versi alcaici, e del verso saffico all'oraziana, cioè in cinque sillabe prima e quattro dopo (~zLs-^pup.sp;); e più tardi invece usò, forse ad evitar monotonia, dividerli in sei e tre, 0 in sette 3 due, beninteso poi che il primo emistichio fosse alla sua volta articolato ili sè stesso (6). Nel quarto libro adottò pel verso saffico, come egualmente legittima che la cesura pentemimera, la cesura femminile nel terzo piede (/.v.zà xpixov xpoy^lcv) portante alla divisione in sei e cinque. Invece in esso libro prende ad evitare come incomoda l'unione stretta e indistaccabile dell'adonio con la fine del terzo verso saffico, e ad escludere assolutamente la sinalefe di una vocale lunga (7).
   Abbondano in Orazio le strofi tetrastidie, quali la saffica, l'alcaica, e quelle ove tre asclepiadei si uniscono a un gliconio, ovvero due asclepiadei a un gliconio e a un ferecratico. Parrebbero altresi non mancare le strofe distiche, come gli epodi, e come le combinazioni di un asclepiadeo con un gliconio; e parrebber o persino esservi delle tirate moncsticlie, come in quelle odi ove tutti i versi sono asclepiadei minori 0 maggiori. Se non che anche coteste tirate monostiche e distiche è stato felicemente osservato come finiscano per dare in tutta l'ode un numero di versi divisibile per quattro, onde è stato, non senza tener conto d'altri mdizii, concluso che in fondo tutte le odi drOrazio sono a strofi di quattro versi l'una, sia poi che la strofe in se sia indivisibile, 0 che la sia divisibile in due parti 0 in quattro parti eguali. Tale scoperta ha portato naturalmente delle conseguenze nella critica del testo, offerendo a questa ancora un altro criterio (8); Per esempio unica eccezione faceva l'ode S del 1. IY, ed i critici han provato a mostrarvi delie interpolazioni 0 delle lacune, tanto da raggiungere, al di qua 0 al di là dell'attuai numero 34 dei versi, un numero che sia divisibile per quattro (0).
   Notevoli difetti delle odi sono le molte ripetizioni, l'accumulamento, che par più da retore che da poeta, di esempii ad esempii, l'intempestiva introduzione dell'erudizione, e un certo fare a volte discorsivo e prosaico che lo mena a usare spesso particelle come ergo, quotisi, qualcnus, atqui, namque, e soprattutto una certa incapacità a serbare il tono elevato e solenne senza ogiiitanto calare nello scherzevole e nel basso,