436 libro secondo. —¦ parte i. — i poeti.
Aggredioi primusque novis Helieona movere
Canttbus et viridi nutantes vertice silvas
Hospita sacra ferens, nulli memorata priorum, ecc. (14).
Abbiamo ancora una poesia di 645 regolarmente costrutti esametri, (frammento forse di più lungo poema), ne' quali è descritta l'Etna ed è trattato della origine delle sue eruzioni, con intento di buttar giù le spiegazioni mitiche adottate dai poeti e dal volgo circa quel fenomeno. U poemetto è stato attribuito a Virgilio, a Quintilio Varo, a Claudiano, a Manilio, ed anche a Cornelio Severo, che secondo Seneca (15) poetò sopra l'Etna, e forse in un suo poema sopra l'ultimo periodo della guerra civile, dal qual poema deriva un frammento che abbiamo sulla morte di Cicerone. Se non che appunto il confronto di cotesto frammento col poemetto del-VAetna ci dissuade dall'attribuir questo a Cornelio Severo. Più probabilità stanno invece per Lucilio Junior e, amico di Seneca. Seneca gli indirizza spesso i suoi scritti, chiamandolo di sè più giovane, e suo carissimo; e, quando Lucii.o è procuratore in Sicilia, lo esorta a poetare dell'Etna: Aetnam describas in tuo Carmine et hunc solemnem omnibus poetis locum attingas ; quem quominus Ovidius tractaret nihil obstitit quod iam Vergilius impleverat (beninteso, occasionalmente). Ne Se-verum quidem Cornelium uterque deterruit » (16). E più giù (17): «Aut ego te non novi aut Aetna tibi salivam movet: iam cupis grande aliquid et par prioribus scribere ». E l'allusione che nel poemetto è fatta a casi occorsi nell'età tra Claudio e Nerone, età che converrebbe benissimo a Lucilio, rende probabile che esso poemetto sia appunto quello che Seneca aspettava da Lucilio ; tanto più che tra Seneca, in ispecìe nelle quaestiones naturales, e l'Etna, occorrono particolari coincidenze di espressioni, quantunque l'autore dell'Etna tenda del resto all' epicureismo. La lingua ha in generale quello stampo che per opera 8 Virgilio diventò convenzionale nella poesia romana. La metrica è nella sostanza omogenea alla Ovid ma, se non che riproduce nelle cesure e in altro certe durezze Virgiliane, al modo istesso di Manilio e di Stazio (18).
(1) Ovidio dice di lui nei Tristi, IV. 10, 43.
Saepe suas volucres legit mihi grandior aevo, Quaque noest serpens, quae juvat herba, Macer.
(2) Vedi Bàhr, Gesch. d. r. Lit., Supplemento III, § 56.
(3) Libro X. 1, 87.
(4) Libro IX, X, XI, XVII.
(5) Libro XIX, XXI, XXVIII, XXIX, XXX, XXXII.
(6) Ovid. Amor. II. 18, 1 ; Ex Ponto II. 10, 13.
(7) Ex Pont. IV. 8, 67; II. 5, 41 sgg. i Fasti, I, 13 sgg.
(8) Calig. 3.
(9) I mss. non van più in là del IX s. Vedi Orelli, nella edizione fattane assiemo a quella di Fedro, Zurigo 1831. L'edizione principe è la bolognese del 1474. Con gli scoli è la edizione berlinese di A Breysig, del 1867.
(10) V. Teufiel, 2.a ediz., pag. 588.
(11) Ex Pont. IV. 13, 33.
(12) Il poemetto di palisco si ha in due codici, l'uno parigino del X sec.; viennese, è forse dell'istes3a età, l'altro. Fu stampato la prima volta assieme all'Halieutica di Ovidio da Logo, Venezia (in aed Aldi) 1534; e da Ulizio, Leyden , 1615, assieme a Ovidio Nomc-siano e Calpurnio; e da Haupt, assieme a Ovidio e Nemesiano, a Lipsia, 1833; c da Stern, assieme a Nemosiano, e cori note variorum, a Halle 1832.
(13) Teuffel, 2.a ediz. § 248, 3.
(14) Sui mss. di Manilio vedi Jacob a pag. V e sgg. deila prefazione alia sua edi 'cne e C. T. Breiter, De emendatone Manilii, Hamm 1854. Fondamentali sono il Codeos Gem-blacensis (sec. XI) o il Vossianus II che risalo al s, XV, ma trae origine da un buon codice anteriore. L'edizione principe è di Norimberga (verse il 1472). C'è poi la ediz. bolo-