424
libro secondo. —¦ parte i. — i poeti.
tira provenisse da un codice di Bobbio. Conclude egli doversi essa tenere per lavoro di qualche ignoto italiano del XV secolo, che, a meglio coprir la sua frode, ne accozzò con qualche disordine i versi, e vi sparse lezioni errate.
A cotesta opinione aderisce il Teufìel (4), aggiungendo come nulla trovisi in» quella satira che già per altra via non si conosca; come solo per necessità metrica la svetoniana obesitas ventris di Domiziano siavi cambiata in un gozzo (in-gluvies) ; come lieve mutazione sia ad ogni modo quella di lui stesso di rosso in pallido; come la arditezza grande delle allusioni e delle previsioni sia più pensabile in un compilatore moderno che in Sulpicia, come il tono e l'espressione tradiscano il semidotto che vuol far versi e non sa farne dei buoni, quindi le molte rabberciature, sconcezze di costruzione, ecc.
Un dotto italiano, Domenico Carutti, ha invece sostenuta in una ingegnosa dissertazione (5) l'autenticità della satira, facendone anche una critica recensione del testo.
Il Carutti crede che le imperfezioni della satira sieno da imputarsi al codice in gran parte; e che le altre, per quanto notevoli, non sieno impossibili in uno scrittore della fine del 1.° secolo dopo Cristo. Il non trovarsi più alcun codice della satira non gli pare bastante ragione per infirmarne l'autenticità; sembra a lui che la scoperta del Merula sia attestata dall'unanime consenso dei contemporanei; crede supposta l'edizione milanese del 1497 (sulla quale è bensì vero che cadono alcune incertezze, ma non paro a noi sieno taL da mostrarla supposta e finta). Quanto agli argomenti interni, il Carutti raccoglie molti riscontri tra espressioni e parole della satira e altre consimili d'altri scrittori latini. 1 quali riscontri paiono quasi tutti (e persino quello con Floro) cosi accidentali, da non potersene, crediamo, inferire gran che nè prò nè contro l'autenticità della satira in questione.
Noi dunque non possiamo recisamente risolverci a ritenerla genuina od apocrifa, quantunque incliniamo, a dir vero, più a questa seconda opinione che alla prima.
(1) Lib. X, Epig. 35 e 38. Cfr. ancora Sidonio Apollinare, carm. IX, v. 256.
(2) Lo scoliasta di Giovenale ne riferisce due trimetri giambici, sfrontatamente pudichi :
Non me cadurciis destitutam fasciis Nudam Caleno concubantem proferat.
(3) « Commentatio de Sulpiciae quae fertur satira », inserita negli Atti dell'Accademia delle Scienze di Amsterdam 1809.
(41 Geschichte der rom. Literatur; 2.a ediz. p. 708-9 — Cfr. Bàhr la, p. 632-3^ Bernhard}', 5.a ediz. p. 651.
(5) Sulpiciae Caleni Satira. Recensuit Dominicus Carutti, Augustae Taurinorum , MDCCCLXXII, pag. 26 in-4° (Dalle memòrie della R. Accademia delle Scienze di Torino, S. II, T. XXVlll). Ne ha fatta un'accurata recensione il Flechia nella « Rivista di filologia » di Torino, a. 1.® fase. 1.° pag. 41-47.
Bibliografia.
La già citata edizione veneta del 1493 fu riprodotta a Strasburgo nel 1509. Insieme all'Ausonio (Parma 1499, Venezia 1501) la pubblicò l'Ugoleto, o cosi dipoi altri assieme ad Ausonio, a Petronio, Persio,Giovenale, e assieme ai poeti minori. La pubblicarono a parte Schwarz e Gurlitt (Hamburg 1819), Schlager (Mitau, 1846) , e il Carutti — La tradusse (e annotò) in francese C. Monnard. (Paris, 1820), in isvedese C. A. F. Moller (Malmo, 1859), in italiano Marco Aurelio Soranzo (sec. XVlIt) e Ludovico Canal (sec. XIX). — Vi spesero cure per l'emendamento del testo Barth,- Duusa, Boxhorn, Burmann, Kannegietor, Bouher, WeriisdorL Munnard, Sclivarz, Schlager, Boot. Luciano Miiller, Carutti,