capitolo v. — i poeti lirici ed elegiaci. 421
B) Opere.
Di Giovenale ci sono giunte sedici satire, le quali ne' manoscritti vanno divise in cinque libri di quasi uguale grandezza E il primo di essi abbraccia le cinque satire, il secondo la sesta, il terzo la settima, ottava e nona, il quarto la decima, undecima e duodecima, il quinto le rimanenti Ano alla quindicesima. Di altre poesie ed opere di Giovenale non abbiamo alcuna notizia, ned è verosimile cbe delle sue satire nulla siasi perduto. All'ultima satira manca davvero qualche cosa: ma tanto si può credere che il caso ci abbia privati dell'ultimo foglio, come che l'autore non le abbia posto 1' ultima mano.
Le satire si succedono nell' ordine di tempo nel quale furono scritte. Cosi la prima fa evidentemente da preambolo alle altre, e le ultime attestano a chiari segni la vecchiezza dell'autore. Anche le pochissime indicazioni cronologiche, che vi si : i-contrano, confermano questa opinione (1).
Materia delle satire sono i temp1 di Domiziano; dai quali Giovenale usci già maturo d'anni, e coll'animo pieno di quella cupa .ndegnazione, che, a dir suo, lo fece poeta. Approfittò della mitezza dei nuovi principi per vendicarsi di quel che aveva sofferto sotto l'antico ; nel biasimo dato ai morti comprese anche buona parte de'viventi, perchè non v'ò in tutte le sne satire un solo indizio ch'ei li credesse punto migliori di quelli cne dormivano nelle arche della via Flaminia o della Latina. Fosse persuasione o risentimento, egli non vide che il male degli uomini coi quali la sorte l'aveva condotto a vivere; e lo descrisse colla freddezza di chi insieme cogli anni ha perduto tutte le illusioni della gioventù e tutte le speranze d'un miglior avvenire. Di qui i due più gravi difetti delle sue satire che i ritratti ci siano troppo generici e la dipintura de' costumi o monotona o esagerata (2).
Che giudizio facessero gli antichi di Giovenale, non sappiamo, perchè da Marziale infuori, nessuno lo nomina; che però fosse letto e studiato appare dal gran numero di scolii, una parte de quali risale certamente fino al quarto secolo. Tra i moderni venne diversamente giudicato a seconda dei sentiment e delle opinioni, non solo letterarie, ma politiche, che prevalessero in ciascun secolo. Quando l'iroso repubblicanismo era di moda, fu il poeta favorito di tutt i politici declamatori; oggi che la storia Romana si capisce meglio, cresce il numero di quelli che credendo nella arguta bonomia più che allo sdegno affettato gli preferiscono Orazio.
(1) Così snoie citarlo Prisciano. Vedilo nella edizione di Hertg. IL pag. 537, e seg. Se ne togliamo forse Orazio, nessnn poeta latino fu più di Giovenale vessato dal coltello dei critici, che non contenti di recìdere qua e là, come si suole, qualche verso spurio, levarono le intere satire. Heinrich c C.Kcmpof, quegli nello Observatiouos in Iuvenalem (Berlino 1843), questi collo scritto De Iuven. Sat. XIV. abjudicanda (Berlino 1853) tolsero a Giovenale la paternità dell'ultime due satire; ed C. Ribbeck prima nella sua edizione (Lips. 1359), poi ne' Symbola Philol. Bonnensium (pag. 1-30) e finalmente nell'opuscolo intitolato: Der echte und der unechto .Tuvenal (Berlin 1865) alle satire già da altri ritenuto spurie aggiunse ancora la decima, la duodecima, la decima terza e la decima quarta. Por tacere delle . iterpolazioni che trova ad ogni passo. Ma giova dire che una critica così sfuriata ebbe anche in Germania pochi seguaci: e contro Ribbèk, ciecamente seguito dal francese Widal, sorsero critici più prudenti che restituirono a Giovenale il fatto suo. Vedi B. Lupus, Vindiciae Juvenalianac, Bonn 1864 ed 0. Jahn nell'edizione del 1868, W. Teuffcl in alcuni articoli del Museo Renano (XX, pag. 153 sgg. 473 sgg. XXI, 155 sgg.) ristampati ora negli studi di letteratura greca e romana (pag. 424, ecc.), espresse l'opinione che le varietà, o se s vogliono dire, lo contraddizioni del testo di Giovenale si possano spiegare con una doppia recensione, fatta dallo stesso autore. Ma anche ad una così modesta congettura si oppose ancora 0. Jahn nella sua edizione.
(2) 1 mot' vi che lo portarono a scrivere satire sono chiaramente esposti nella prima, che fin ce coi noti versi :
Exporiar, quid concedatur in illos Quorum Flaminia tegiòur cinis atque Latina.