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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   408 libro secondo. —- parte i. — i poeti.
   veva Cicerone oratore, uomo di stato, e Cicerone filosofo. Ma questo non vuol dire elio Orazio non credesse agli Dei, ad una mente suprema reggitrice dell'universo. Anzi, e qui vediamo nuovamente il poeta, se la sua ragione gli faceva talvolta nascere de' dubbj, un colpo di tuono a cielo sereno, un improvviso mutamento di fortuna bastavano per fiaccare l'orgoglio di quella delirante saggezza — insanienlis sapientice come con audacissima espressione egli la chiama, — e fargli piegare il capo davanti a quel So-nnio Nume che con un cenno può innalzare gli umili ed abbassare i superbi. Poesia ed ateismo sono due parole che male stanno insieme. Il sentimento e la fantasia elevano di per sè stessi il poeta sopra la materia, portandolo in una regione più serena e più sublime che non sia il mondo de' sensi. Con un sentimento quasi infantile, che è in sostanza un delicato e profondo sentimento poetico, Orazio vede negli avvenimenti più importanti della sua vita una mano misteriosa che di mezzo a' maggiori pericoli sempre lo conduce a salvamento. Questa mano lo protesse dai lupi e dai serpi del Voltore, questa lo salvò nella fuga di Filippi. La sua ragione gli dimostrava l'esistenza di un Nume supremo, Padre degli Dei e degli uomini, dal quale nulla era stato generato che gli fosse uguale e maggiore, e lo faceva insiememente persuaso che il timore degli Dei è il principio della moralità ed il fondamento degli imperi (31).
   « Tu imperi al mondo, dice egli al popolo romano, perchè ti riconosci inferiore agli Dei. » E di questa grande verità era Orazio così persuaso, che coi suoi carmi si fece ad aiutare potentemente Augusto nell' opera a cui si era messo di ristabilire il culto dei padri, ricostruendo i templi e rialzando gli altari.
   Queste severe meditazioni non gli avevano però fatto dimenticare le Muse. Egli tornò ben presto alla poesia della sua giovinezza, alla satira, a cui diede una forma più confacente ai mutamenti che avevan dovuto fare in lui gli anni e gli studj. E scrisse le epìstole che sono, come si vedrà, un genere misto di poesia satirica e precettiva.
   Nel 17 Augusto avendo ordinato la celebrazione dei Ludi saeculares, specie di giubileo pagano, diede incarico ad Orazio di comporre un Carme di giubilo per la prosperità della repubblica, che doveva essere cantato da cori alterni di fanciulli e di fanciulle. E fu scritto il Carmen saeculare, che tra i canti religiosi d'Orazio tiene il primo posto, ed è unico nel suo genere. Esso contiene preghiere per la fecondità degl animali e de' campi, per la felicità e grandezza di Roma e di Cesare, voti ed augurii che col trionfo della pace, della fede, dell'onore e della virtù si dischiuda all'impero una nuova èra di fortuna e di splendore.
   Non molto dopo compose e pubblicò il quarto libro delle odi.
   Le quali sebbene provino che il nostro poeta, a malgrado dell'inferma salute, conservava ancora unitamente al foco giovanile tutta la serenità del suo spirito, ci danno in parecchi luoghi a conoscere come già pensasse al riposo. Ne' carmi ottavo e nono fa gli ultimi suoi omaggi agli amici Censorino e Lollio, nell' undecimo prende congedo da Fillide, e col terzo dedica un canto di lode e di ringraziamento a Melpomene, perchè vinta l'invidia e la malevolenza, poteva ormai dormire sopra i conquistati allori sicuro della immortalità.
   Gli ultimi lavori suoi sono le tre epistole del libro secondo a Giulio Floro, ad Augusto, ed ai fratelli Pisoni.
   Con queste tre epistole finiscono i lavori di Orazio, e possiam dire, anche la vita. Egli era nel cinquantesimo settimo anno di età quando la morte di Mecenate venne a troncargli un affetto che avea durato intimo ed inalterabile per lo spazio di trent'anni. A questa perdita egli sopravvisse poche settimane, poiché mori il 27 novembre dell'anno Vili (a. Ch. 740 di Roma). Fu sepolto alle E^quille vicino alla tomba dell'amico. Così si adempiva la profezia che venti anni primaeg\' aveva fatto a Mecenate afflitto'di grave malattia: « Tu non morrai senza di me ! Dovunque tu vada io ti seguirò : il nostro destino è inseparabile ! » (32).
   Orazio moriva amato e stimato dai migliori uomini del suo tempo, e confortato dalla dolce speranza che il suo nome ed i suoi carmi sarebbero vissuti immortali.
   Se ora vogliam gettare uno sguardo sull'intera vita d'Orazio e delinearne, come