capitolo iii. — i poeti satirici. 405
in casa di Volumnio EutrajjÉo sedere a banchetto fino all'ora nona colla bellissima Citeride (1).
Ognun vede che la critica mancherebbe alle cautele elementai i del suo ufficio se pretendesse di giudicare Orazio e gli altri uomini di quell'età con quelle più sane idee di morale e di dignità che devono governare i pensier e le azioni di una società ben costumata, Il canone della critica in questo rispetto à scritto a chiaro note in quell'aurea sentenza del Walckenaer, che mi piace di riferire letteralmente: « Pour bien apprécier, dice egli nel secondo libro della vita di Oraz ), le caractére d'un homme, il est essentiel, dans tout ce qui est blàmable ou digne de louange, de taire la part ae ce qui lui est propre et de ce qui appartient à tous ses contem-porains, de ce qui le distingue de son siècle, et de ce qui l'y replace » (22).
E per tornare alle cortigiane d'Orazio giova dire, a scusa di chi le frequentava, che non tutte meritavano di andare con quella turba di sciagurate che venivano a Roma dall'Eufrate e dall'Oronte, e che, come canta Properzio, calcavano colle scarpe inzaccherate la via Sacra dandosi senza ritrosia al primo che le domandava. La più parte di quelle cortigiane erano state schiave, alle qual; si era risparn .ato, in grazia della bellezza, ogni lavoro ignominioso; molte aveano ricevuto una brillante educazione: e la danza, il canto, il suono aggiungevano in loro alle grazie naturali le lusinghe forse più etficaci dell' arte. Con queste doti esse potevano essere vendute a caro prezzo dai mercatanti che le aveano educate per trarne guadagno, e divenivano libere nelle mani del nuovo padrone non appena ei se ne fosse invaghito. Esse venivano per la maggior parte dalla Gre< ia, ed erano istrutte nelle lettere greche e latine, ed unendo quasi sempre la dottrina all'ingegno non dì rado accadeva che s'arricchissero grandemente, ed ottenessero dagli uoin-ni non solo l'omaggio che si rende alla bellezza, ma eziandio la stima che si attribuisce al sapere. Di pieno giorno, lasciando il senato ed il foro, si recavano a visitarle i maggiori personaggi della Repubblica, e intorno ad esse convenivano e facevano circolo artisti, poeti, e giovani delle più nobili famiglie. Esse non uscivano mai sole, e non era raro il caso di vederle accompagnate dai servi, e portate nelle lettighe sia degli amici, sia dei conoscenti che frequentavano la loro casa. Leggendo queste cose della Roma d'Orazio ci pare veramente d'essere trasportati nell'Atene di Pericle, d'Aristippo e di Socrate; quando i cittadini più illustri e gli stessi filosofi non [sdegnavano la famigliarità di Aspasia e di Laide. Chi abbia presente al pensiero la conversazione di Socrate con Teodota nel terzo de' Memorabili, e l'ironico sorriso che doveva sfiorare le labbra al filosofo quando alla vezzosa favorita di Alcibiade dava consìgli sul modo di cattivarsi gli amanti, chi ricordi la pronta risposta di Aristippo « Habeo, non habeor a Laicle » intenderà d leggieri come quei saggi considerassero e trattassero l'amore delle loro illustri cortigiane. Ed Orazio che in questo circolo di persone visse molta parte della sua 1 ita, e vi attinse l'ispirazione a carmi graziosissimi, dovrà perciò stesso parerci meno sa\ io e morigerato di que' filosofi ?
Mobilissimo di nervi e d'imaginazione vivacissima, di cuor caldo, allegro, aperto ai dolci affetti, Orazio come fu fino agli ultimi anni mante volubile ed appassionato, cosi fu sempre coi suoi molti amici, secondo portava il caso, ospite generoso o commensale piacevolissimo. Quindi i frequenti ricordi del Falerno e del Massico ne' suoi carmi, quindi i festini e le mense prolungate i tarda notte, e le lodi del vino spinte fino a scrivere celiando a Mecenate che non possono piacere e vivere lungamente i vers: lei bevitori d'acqua. Giacché « le istesse dolci Camene alla mattina rendevano odor di vino, e dalle lodi che dà a) vino Omero si palesa un bevone. »
E continua citando anche l'autorità di Ennio, per conchiudere che da quando egli ebbe vietato agli astemi di cantare, dannandoli al Foro ed al pozzo di Libone,
.....non eessavere poetae
Noe tur no ceriare mero, patere diurno (23)
A parte la celia, che è evidentissima in questa satira, nella quale Orazio vuol