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di Antonio e di Cleopatra, la gioja dì Orazio toccò il culmine, e gli sgorgò dall'animo in due canzoni spiranti i più viv». e schietti sensi di patriottismo, scritte l'una a Mecenate, 1' altra a' compagni (13). Da questo punto l'avversario di Ottaviano divenne il più caldo ammiratore e lodatore d'Augusto.
Giova però avvertire che i rapporti di Orazio con Augusto erano ben altri da quelli che lo legavano a Mecenate. In questo venerava ed amava 1' amico, in quello si appagava di rendere omaggio alla maestà dell'imperatore, al principe e padre del popolo romano. E se ne tenne sempre rispettosamente lontano ricusando così l'ufficio di privato segretario del principe, come l'incarico di cantare in un carme eroico le gesta, con tale una urbanità ed una fermezza le quali fanno chiara prova non meno dell'ingegno suo che del suo carattere. Così adoperando il poeta serbò la propria indipendenza, ed il principe visto dì lontano gli apparve sempre cinto di quell'aureola luminosa, che forse sarebbe scomparsa se l'avesse trattato più da vicino (14).
Due anni all' incirca prima della battaglia di Azzio, (33 a. C. 721) di Roma dopo pubblicato il 1.° libro delle 'Satire, Mecenate aveva dato ad Orazio come pegno della sua amiciaiS un podere che lo compensava largamente della perdita del suo modesto patrimonio. Questa era la villa Sabina da lui spessissimo menzionata nelle sue poesie, e particolarmente descritta nella lettera (16, lib. 1) all'amico Quinzio (15). Dcssa era posta in una valle amenissima chiusa dai monti a settentrione ed a mezzogiorno, aperta dagli altri lati ai tepori del sole mattutino e vespertino, e bagnata dall'acque del fiumicello Licenza. Lecci e querce annose offrivano ricco pascolo al gregge, ed ombra ospitale al poeta neUe ore del sollione. Il podere era formato co.' campi di cinque agricoltori sabini, toccati a Mecenate nella distribuzione delle terre, e gli rendeva abbastanza per vivere agiatamente mantenendo un castaido ed otto schiavi. Egli aveva ben diritto di sclamare, considerando la dura vita passata e la presente beatitudine: hoc erat in voiis! L'uomo ed il poeta erano pienamente appagati (16).
In questo quieto soggiorno egli si raccoglieva fuggendo i rumori della città non appena i suoi doveri d'amico e di cittadino glielo permettevano, e qui divideva il suo tempo tra le cure campestri e gli studj. Leggeva e scriveva. Dai suoi scritti si vede che egli si era resi famigliari tanto i poeti latini antichi e nuovi da Ennio e Plauto fino a Catullo e Lucrezio, quanto i poeti greci, tra i quali aveva posto particolare amore ad Alceo, Saffo, Archiloco, Eupolide, Platone e Menandro. I lirici da un lato, dall' altro l'inventor del giambo, e i comici della vecchia e nuova commedia. Intorno a questo tempo pubblicò un secondo libro di Satire, cui tenne dietro a breve intervallo un libro di giambi.
Colla pubblicazione delle Satire e degli Epodi si chiude il primo periodo della vita poetica d'Orazio. Nella quiete e negli agi della sua villa egli attinse inspirazione e lena a tentar nuove vie, a diventare, come di lui fu detto più tardi, il primo e per avventura il solo poeta lirico latino.
3 seguiva certamente gli impulsi del suo ingegno, allorché resistendo ai consigli di moltissimi amici suoi, ricusava di farsi emulo di Omero per mettersi arditamente sulle orme di Saffo, di Alceo, e di Pindaro. Egli sarebbe stato forse un mediocre poeta epico, mentre invece la natura 1' avea fornito dei più bei doni per essere sommo poeta lirico. Chi pensi alla condizione de'tempi ne'quali visse Orazio, allo stato de' costumi, delle credenze, delle opinioni, de' caratteri d' allora tanto lontani dalla semplicità e dalla grandezza eroica, e consideri come l'ingegno e l'arte somma di Virgilio non valsero a far sì che l'Eneide fosse una vera e giusta epopea; chi sappia di più come fin dalla origine della sua letteratura, e pel modo stesso onde questa nacque, mancarono a Roma i naturali elementi del carme epico, non darà torto ad Orazio se guidato dal suo buon senso ricusò di porsi per una via nella quale avrebbe consumati indarno i bei doni poetici della sua mente. Dì spirito pronto e vivace, di sensi facilmente irritabili, d'animo aperto e suscettibile delle impressioni più diversa, d'orecchio tondo e purgato, e d'un gusto squisitissimo, egli era nato fatto per quel genere di poesia che deve con viventi imagini rappresentare i pensieri, i sentimenti, le impressioni fuggevoli del momento, Però sebbene non pos-