360 libro secojndo. — parte i. — i poeti.
Ma. i bei giorni della vita di studente furono di corta durata
Dura sed amovere loco me tempora grato.
Ed erano davvero duri tempi ! La morte di Cesare era stata il segnale di una nuova guerra civile che doveva vincere in crudeltà le precedenti. A, Triumviri costituitisi per dividere la preda di Cesare si erano opposti Bruto e Cassio come difen-soi' della repubblica. Ma costretti a fuggire dall'Italia si erano recati in Oriente, nella Macedonia, nella Siria per al estirvi un esercito da combattere gli usurpatori. Per via Bruto passò da Atene (Agosto 710), dove la sua presenza accese in quella schiera di giovani studenti i, sacro fuoco della libertà, e tra quelli che si arruolarono sotto le bandiere di lui fu anche Orazio. Bruto lo fece tribuno militare, ossia comandante di una legione: grado che per lo più si dava ai tigli di Senatori e che portava seco l'onore dell'anello aureo e l'altre insegne de' cavalieri (4).
Orazio seguì Bruto nella Macedonia e di là nell'Asia partecipando alle spedizioni contro i Lieii e correndo più volte pericolo della vita ( Carm., II, 7). Nel terzo anno Bruto e Cassio mossero contro Ottaviano ed Antonio che erano sbarcati nella Macedonia, ed a Filippi nell'autunno del 42(712) fu combattuta la duplice battaglia che recò il colpo mortale alla libertà romana. Le legioni repubblicane prese da terror panico fuggirono: Bruto e Cassio si uccisero, e gli altri chi trovò scampo nella fuga, chi arrendendosi ai vincitori (5).
Questo avvenimento mutò interamente le sorti del nostro poeta. Se Bruto e Cassio vincevano, e se era ancora possibile che essi ristabilissero la repubblica, molto probabilmente il giovane tribuno sarebbe entrato nella carriera politica, e nulla ci vieta di pensare che egli potesse cogliervi quegli allori onde altri uomini nuovi prima di lui avevano ornata la fronte. Ora invece le belle speranze che per un istante gli avevano arriso ei le vedeva subitamente distrutte, i suoi sogni dorati di libertà erano iti in fumo, e per colmare la misura delle sue digrazie anche il piccolo podere paterno era divenuto preda del soldati (6). Spogliato d'ogni suo bene, egli fu costretto d'andare come suol dirs a cercare fortuna. E come accade sempre agli uomini di sano intendimento, la sventura lo fece saggio. Disingannato della gloria e dei favori che indarno aveva cercato tra le fa/ioni politiche e sui campi di battaglia, limitò i suoi desideri ad assicurarsi una modesta entrata ed un nome onorato. Cogli avanzi del patrimonio si cumperò un posto di scriba presso il questore, come chi dicesse ora un posto di segretario presso il Ministero delle finanze (7)„ E da questo momento cominciò, com'egli dice, a far versi.
Decisis humilem pennis inopemque paterni Et laris et fundi paupertas impuiit audax Ut versus facerem.
Però, ancor prima di sentire l'aculeo della povertà, Orazio aveva fatto versi, e versi greci (8). Ma erano quelli giovami esperimenti dai quali lo sconsigliò ben presto Quirino, avvertendolo in sogno che il voler accrescere il numero de' poeti greci era un portar legna al bosco. Ed Orazio obbedendo alla voce del Dio, attese unicamente a divenir poeta romano. Le prime poesie di Orazio furono giambi e sa re.
Orazio strinse per tempo con Vario e Virgilio legami d'am' a. a i quali non si ruppero che colla morte. Essi tre formarono il nucleo di una nuova scuola di poeti, la quale si proponeva di dotare Roma ed il Lazio di una letteratura che potesse per eleganza e venustà competere colla greca. Virgilio lavorava allora a comporre le Georgiche, Vario s'era dedicato alla tragedia, Ora/io continuava a ser ver satire. Furono e3si che sulla fine del 39 (715; lo presentarono a Clinio Mecenate. Nella satira sesta del libro I (9) ci descrwe eg stesso con molta semplicità quel primo abboccamento. Poche parole interrotte da' singhiozzi per dirgli chi era, poi tornò a casa. Di li a nove mesi (nell' autunno del 71G) Mecenate lo chiama a sè e lo am-