capitolo iii. — i poeti satirici.
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tore, e vinto dalla stanchezza, egli potè dormire illeso dalle vipere e dagli orsi, perchè selvatici colombi gli copersero la fronte di mirto e di divino alloro; meraviglia agli abitatori della vicina contraila, ai quali egli apparve non senza ragione un favorito degli Dei : « non sine dis animosus infans. »
E tale egli dev' essere parso anche al padre per deciderlo a cambiare Venosa con Roma, dove solamente poteva dare a suo Aglio una educazione degna delle speranze che in esso aveva riposte. Avea passati i 7 anni, quando condotto dalla mano paterna mise il piede nella capitale del mondo. Quivi frequentò le scuole dove venivano istruiti i Agli delle grandi famiglie, e chi l'avesse visto passare per via, all'abito ed alla compagnia dei servi l'avrebbe creduto figlio di un senatore o di un cavaliere (*). D'una di queste scuole e forse della più rinomata, egli parla nella Epistola 1 del libro li (**), dove scherzosamente ricorda le busse che gli dava il maestro Orbilio per fargli entrare i versi di Livio Andronico.
Orazio si chiama beato d'aver avuto un padre, il quale, come fa un custode fedele lo accompagnava esso medesimo da tutti i maestri. Ancora ne tardi anni della vita egli si ricorda di questa guida della sua giovinezza con un profondo sentimento di gratitudine, e ne ritrae ne' suoi versi l'imagine in modo che tu non sai qual più ammirare se le solide virtù del padre o la riverente pietà del figlio.
Cosi fu educato e crebbe Orazio sotto i vigili occhi del padre suo in quella età che è il principio e la preparazione della vita.
Eil egli, noi non tarderemo a vederlo, non fu fedele soltanto colla memoria alle savie ammonizioni paterne. Intanto un primo frutto di queste ricordanze del'a sua puerizia si vede nell' amore alla vita campestre, ai queti e sereni spettacoli della natura, che anche nei tardi anni gli fece sempre preferire il silenzio della sua villa alle pompe ed agli agi della inquieta capitale. Poi confessa egli medesimo di dovere ai precetti di suo padre, se, quantunque non immune da debolezze e non rigido seguace di una morale severissima, visse però sempre netto di que' vizii che portano sventura; e se nessuno mai potè rinfacciargli avarizia, sordidezza, o male pratiche. E dal padre suo prese Orazio quel buon senso che appare in tutte le sue opere, e dal quale certamente aveva imparato a riporre la felicità della vita là solamente dove può trovarsi, voglio dire nella indipendenza dalle cose esterne e nella contentezza di sè medesimo ('*).
Ma il padre non era serbato a veder maturi questi semi da lui con tanto amore deposti nell'animo de) figlio. Orazio lo perdette probabilmente nei primi anni della giovinezza, poiché da questo tempo noi lo vediamo solo in Roma, ed abbandonato interamente alle sue ispirazioni. A vent'anni (dunque intorno al 709) lo troviamo in Atene (****), dove convenivano da Roma i giovani delle maggiori famiglie, sia per dedicarsi allo studio della AlosoAa, sia per apprendervi le grazie dell'urbanità ateniese. Noi vediamo qui il Aglio del liberto di Venosa in compagnia con giovani delle prime famiglie, con un Messala, un Bibulo, un Servio che gli furono poi sempre fedeli e carissimi amici.
Una lettera del Aglio di Cicerone sci .tta da Atene al liberto Tirone ci apprende come fosse aggradevole quel soggiorno, e come vi si passasse bellamente il tempo fra gii studi AlosoAci e i festevoli banchetti, dove maestri e scolari stavano talvolta Ano a tarda notte scherzando e conversando come si fa ne' simposii di Platone e di Senofunte (3).
In questa lieta compagnia di filosofi, di reiori di poeti, Orazio imparò a conoscere lo spirito e la grazia di quella greca musa, a petto della quale la latina gli pareva tanto umile cosa che. ancora negli ultimi anni sciamava :
Grajis ingenium, Grajis dedit ore rotundo Musa loqui.
(*) Sat. I. 6. v. 5-11, 45-6-68.
n 71.
p**j Dei precetti del padre discorre scherzevolmente nella satira 4 del libro I, v. 105-299,
Ci Cp. Lib. II, 2. 43, ecc.