360 libro secojndo. — parte i. — i poeti.
rninum varietate mixtum » non sa cavare alcun senso chiaro e soddisfacente; giacché può voler dire che nelle satire di Varrone alla varietà degli argomenti s'aggiungeva la varietà dei metri oppure che ai metri già varii s'intrecciasse varietà novella, il semone pedestre.
A me pare che codesti critici abbiano addensate a bello studio le tenebre per nun vedere la luce. Le parole di Quintiliano son chiare, e chi non voglia stringer troppo da Ticino il significato del verbo condere, voglion dire che Varrone ha ripreso in mano l'antico genere di satira, e non contento di variare gli argomenti ed i metri (come fece Ennio) mesci lò anche la prosa col verso.
(5) Diversa fortuna — dice bene il Riese — ebbero le satire e la dottrina di Varrone. Giacché mentre di questa parlano gli scritlori di tutti i secoli della letteratura, quelle in breve tempo giacquero dimenticate. E la cosa ci appare chiara solchè guardiamo ai titoli che vengono dati a Varrone, di dottissimo, Idi eruditissimo, di curiosissimo, di periticsimo, di padre della romana erudizione, di maestro di tutto il sapere, di filosofo. Una sola volta fu chiamato poeta (S. Gerol. Chron. 01. 166. 1), e in altri pochi luoghi Menippeo.
Che nel secolo degli Antonini fosse moda vantarsi di conoscere le satire menippee ci é attestato da una piacevole novella di Aulo Gellio (N. A. Xlll. 29), dalla quale apprendiamo eziandio che si leggevano e s'intendevano assai difficilmente.
Censorino nel molto che tolse da Varrone fece uso anche delle satire, ma senza nomi narle; Macrobio, quando gli avviene di ricordarle, si vale per lo più delle citazioni di Aulo Gellio.
Intorno alle satire, come a tutte le opere di Varrone, molto si scrisse. I lavori di maggior conto suo:
Sammlung der Sat Menip. reliquiae durch Fr. Oehler. Lipsia 1844. — 1. Vahlen in Var-ronis Satiras Menippcas reliquias conjectanea. Lipsia 1858. — M. Terentii Varronis Satu-rarum Menippearum Reliquiae. Reeensuit, prolegomena scripsit, Appendiceli! adiecit Alexander Riese, Lipsia 1865.— Lue. Mueller, De Re Metrica ecc., p, 411-444.— 1. Mòhly. Var-roniano. Basilea 1U65.
§ 36. Quinto Grazio Fiacco.
A) Vita.
Ciò che Orazio dice di Lucilio, che egli aveva fedelmente ritratto sè medesimo nelle sue satire come sopra una tavola votiva, vale ad eguale e forse maggior ragione di lui. Perocché nelle sue poesie egli ci descrive la persona, gli atti e fin'agli intimi suoi pensieri con tanta schiettezza ed evidenza, che ti basta raccogliere gli sparsi tratti e comporli in ordine di tempo per avere l'imagine perfetta della sua mente e della sua vita. Biografi e critici (1) non hanno mestieri d ricorrere a stranii documenti ed a testimonianze spesse volte erronee o mendaci: l'autore stesso si rivela a loro apertamente, e dà loro con questa sincerità un primo saggio favorevole del suo carattere, e una prova del valor suo dimostrando di non temere g ì-diz della posterità (*).
Orazio, come la più parte de' chiari ingegni romani, non vide la luce nella capitale, ma in una modesta e silenziosa città di provincia. Venosa nell'Apulia, posta ai piedi del Voltore e sulle rive dell'Ofanto, fu il luogo dove egli nacque agli 8 dicembre dell' anno 65 (689 di Roma) sotto i consoli L. Aurelio Cotta e L. Manlio Torquato (2). Suo padre, un liberto che coH'ufficio di esattore (') si era fatta una modesta fortuna, vi possedeva un piccolo podere, nel quale il nostro poeta passò i primi anni della sua fanciullezza. In una ode, la quarta del libro III, egli ci racconta una novelletta, la quale, vera o no che sia, ci adombra la vocazióne del poeta consacrato già da bambino al sacerdozio delle Muse. Smarrito tra le selve del VolO Sul triplice nome suo vedi Carm. IV, 6,44. Epod. 15-12, Sat. lib. II, 6, 37. Horatia era il nome della tribù a cui apparteneva Venosa: ed è assai probabile che il padre una volta affrancato avesse preso il nome dalla tribù della città di cui era stato servuspublicus.
(') Cuactores, esattori delle società dei pubblicani secondo Dillenbnrger. Ricevitori delle vendite all'asta secondo Noel des Vergers, dei banchieri secondo gli Scoliasti, Sat. 1, 6,86.