3'J2 libro secondo. — parte i. — i poeti.
A sedici anni militò con Publio Scipione Africano minore nella guerra di Nu-manzia (3); e fu intimo amico di lui e de' suoi amici, quali erano: Lelio, Licinio Crasso, Postumio Albino, L. Elio Stilone ed altri (4).
Ricco cavaliere e ben accetto a cosi potenti cittadini potè pungere l'errore ed il vizio dove e come meglio gli parve con tanta libertà, quanta prima o dopo di lui non fu concessa ad alcun poeta (5).
Egli, come scrisse Orazio,
Primores populi arripuìt populumque tributim Scilicet uni aerjuus virtuti atque ejus amicis;
e tra le persone da lui ferite si nominavano Muzio Scevola, T. Albuzio, Q. Cecilio Metello, L. Cornelio Lentulo Lupo, C. Cassio, L. Cotta, Papirio Carbone; insomma il flore della nobiltà di quel tempo (6). Ed anche contro i morti volse i suoi strali, lacerando il nome e gli scritti di Euripide, di Ennio, di Cecilio, di Pacuvio, di Azzio. Egli aveva avuto agio di conoscer bene il suo secolo, ne aveva scrutato ad una ad una le magagne, e per carità di patria, per amore del buon costume che si veniva guastando, le rivelava arditamente.
Pure un uomo di sì alti spiriti era assai modesto nel vivere e nel conversare e soleva dire che non desiderava esser letto riè dagli ignorantissimi nè dai dottissimi, gli pareva che quelli non lo dovessero intendere e questi troppo. E temeva sopratutto le censure degli amici, a scansare le quali molto lepidamente diceva di scrivere non per loro ma per gli abitanti di Taranto, di Cosenza e della Sicilia.
Curò pochissimo la forma, e forse non lo descrisse male Orazio dicendo, che spesse volte stando sovra un solo piede dettava in un ora Ano a ducento versi. Schivo della meditazione e della lima si dava minor pensiero di scriver bene che di scriver molto, e lasciava scorrere fangosi i suoi versi, contento di sapere che i colpevoli, da lui percossi, arrossissero nell'udirli.
La fama di Lucilio fu grande anche presso i posteri, ai quali passò come esempio forse non imitabile di acerbità e di audacia. Cicerone, che amava di ricordare gli antichi poeti, lo chiama dotto, urbanissimo e faceto (7); ed Orazio a cui davano noja le soverchie lodi dei suoi ammiratori non può dirne male senza che insieme non riconosca i molti pregi di quel potentissimo ingegno. Perciò mentre lo dice garrulo e disadorno, mentre trova in lui molte cose da levare e lo biasima di aver con viziosa affettazione mescolate voci greche colle latine, non può negare che abbia felicemente imitate le libere facezie dei comici ateniesi e stropicciata la pelle ai Romani con molto sale nè per nulla al mondo oserebbero torgli dal capo l'onorata corona:
....... neque ego iIli detrahere ausim
Ilaerentem capiti multa cum laude coronam
Orazio, che scrivendo di lettere mirava sopratutto a correggere le false opinioni ed il cattivo gusto de' contemporanei, biasimava In Lucilio principalmente la mancanza di quella forma pura, sobria, perfetta, cui confidava d'aver raccomandato l'eternità de' suoi scritti (8). E per necessità di difesa, più che per voglia di offendere, trascorse nella censura oltre i limili del giusto; tant'è vero, die tolte le primarie cagioni della controversia, i critici d'un secolo dopo tornarono ad un più equo giudizio così delle mende come dei meriti veri di Lucilio. Quintiliano, dopo aver detto che la Satira era tutta romana, soggiunge: p quaprimus iasignem laudem adeplus Lucilius quosdam ita dedilos sibtadhuc habel anuitores, ut eum non ejusde/n modo operis auctoribus at omnibus poetis praeferre non dubitenl. Ego quantum ab illis tantum ab Horaiio dissenno, qui Lucilitim fiacre lutulentum et esse aliquid, quod tolleri- possis, pvJut. Nani eruditio in eo mira et libertus atque inde acerùitas et abundaulia salis [9). » Intorno alio sies&o tempo Giovenale, a cui oltre la liberta e forse più di essa, mancavano l'incoi rotto animo e l'alta scuiettezza di Lucilio, ci