capitolo iii. — i poeti satirici.
373
Orba parente suo quicumque voiumina tangis, His saltem vestra detur in urbe loeus !
Quoque magis faveas, non sunt haec edita ab ipso, Sed quasi de domini funere rapta sui.
Quidquid in his igitur vitti rude carmen habebit, Emendaturus, si licuisset, eram.
Nello scrivere le Metamorfosi Ovidio si potè giovare di parecchi poemi greci, come della Ornitogonia dì Beo (pò autore del resto gnoto, delle Mutazioni (Exepotovuevaì dell'alessandrino Nicandro, e delle Metamorfosi d Partenio. Ma molto si valse anche dei tragici, segnatamente di Euripide, da cui tolse qualcuna delle sue scene più commoventi, per es. l'Ecuba (1).
Dell'ingegno e dell'arte di Ovidio portarono conforme giudizio i due Seneca e Quintiliano. Il primo termina il passo già mentovato col dire che Ovidio non abusò delle parole se non ne'carmi, ne'quali non ignorò i propri difetti ma li amò;così che appaja non essere a quel sommo ingegno mancato il giudizio, ma la volontà di contenere la licenza del suo stile. Diceva infatti che talvolta un neo rende la faccia più bella. E più in là lo stesso Seneca scrive che Ovidio non sapeva abbandonare ciò che una volta gli fosse ben riuscito. L'altro Seneca riconosce che fu poeta ingegnosissimo, se l'ingegno suo e la materia de'suoi poemi non avesse ridotto ad inezie puerili. Quintiliano gli fa rimprovero d' essere stato giocoso anche ne' soggetti eroici e troppo amante del proprio ingegno; lo trova però lodevole in alcune pani. E giudicando la Medea dice, potersi da essa argomentare quanto 0\ dio avrebbe fatto, se avesse preferito di comandare al suo ingegno anziché di assecondarlo. Altrove eh imando freddo e puerile l'uso invalso al suo tempo di segnare i passaggi d'uno in altro argomento con una qualche sentenza, scusa Ovidio di farlo nelle Metamorfosi , perocché fosse tenuto di raccogliere in un sol corpo cose tra loro diversissime (2).
(1) A quest s: possono aggiungere le 'AMotua-tts di Antigono, gli 'f/r^otwv /3ì/3Xot di Corinna, le Metamorfosi dell'alessandrino Callistene e di Teodoro. Era un tema dei più confacenti alla Musa erudita degli alessandrini. Dal poema di Nicandro di Colofone trasse Anton io 1 berale una raccolta di miti, e son quelli stessi che tornano nelle Metamorfosi di Ovidio. Non è del resto improbabile la congettura messa innanzi da qualche critico moderno, che Ovidio si fosse più che d altri giovato dei libri mitologici o comecchessia della 7asta scienza d'Igino, del quale era intimo amico.
Vedansi G. L. Melmann. Comment. de caussis et auctoribus narrationum de mutatis form ; ad illustrandum maxime et dijudicandum opus Metamorphoseon Ovidii, Lipsia, 1786. — C. Lange: De nexu inter C. Julii Hygini opera mytholog. ecc. Moguntiaci 1865. — Bahr R. L. pag. 456. 12.
(2) Seneca (Controv. II. 10,12). « verbis. minime licenter usus est, nisi in carminibus, in quibus non ignoravit 'itia sua sed amavit .... adparet summi ingenii viro non judi-ciam defuisse ad compescendam licentiam carminum suorum, sed anìmum. Ajebat interim decen^orem faciem esse in quo aliquis naevus inesset. » ld. Ib. IX. 28. 17. « Ovidius nescit quod bene cessit relinquere. » Seneca (nat. quaes. III. 27.13) : « poetarum ingeniosissiraus ... nis tantum impetum ingenii et materise ad pueriles ineptias reduxisset. » Quintil. X 1.88 : « lassivus quidem in herois quoque Ovidius et nimium amator ingenii sui, laudandus tamen in partibus. » Id. IV. 1. 77. « illa vero frigida et puerilis est in scholis affectatio, ut ipse transitus efflciat aliquam sententiam ... ut Ovidius lascivire in MsTajao/sawWiv solet, quem tamen excusare necessitas potest res diversissimas in speciem unius corporis coiligentem. » Delle sue Metamorfosi parla Ovidio stesso nei Tristi. II. 553-559