Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (388/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (388/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   360 libro secojndo. — parte i. — i poeti.
   — Villenave. Vie d'Ovide contenant des notions historiques et littéraires sur le siecle d'Auguste,Paris, 1809.—Sugli amici di Ovidio scrisse Koch, Prosopographiae Ovidianae elementa Breslau, 1865; sulle sue credenze e sentimenti morali: Reichart, Die sittliche Lebensanschauung dea P» Ovidius Naso. Postdam, 1867.
   B) Le Opere.
   La cronologia delle poesie di Ovidio si divide in tre periodi, corrispondenti a tre età della sua vita- Al primo periodo appartengono le poesie erotiche, vale a dire: a) Gli Amori (Amores) in tre libri; b) le Eroidi (Heròides); c) l'Arte d'amare (Ars amatoria) in tre libri; d) i Rimedii d'amore (Remedia aruoris). Nel secondo periodo il poeta più maturo d'anni, di dottrina e d'arte diede mano alla composizione delle Metamorfosi e dei Fasti. Nel terzo periodo si raccolgono tutte le poesie che scrisse nell'esiglio : e sono le Elegie in cinque libri, e i quattro libri delle lettere dal Ponto. Di quesio tempo è anche U Ibis.
   Oltre a queste poesie che ci giunsero intatte possediamo alcuni frammenti dei Medicamina Jaciei, che per avventura sono contemporanei dell' Arte d'amare, e di un poema didattico sulla pescagione (Halieuiica). Della Medea si è già parlato: se sia di Ovidio la Elegia Nuoc non sappiamo. Sua certamente non è la consolazione a Livia Augusta per la morte di Druso.
   C) Le Metamorfosi.
   Ovidio non avea ancor data l'ultima mano a questo poema, quando usci il decreto che lo mandava in esiglio. Per questo e pel dolore dell mprovvisa disgrazia egli volle distruggerlo usienie con altre poesie, e lo gettò nelle fiamme. E ci fu salvato per alcune copie che n' avean già fatto i suoi ara jì, ai quali l'aveva dato da leggere. Cosi scriveva egli stesso da Tomi (nella settima elegia del libro I.) ad un amico che possedeva il suo ritratto:
   . . . . sed carmina major imago sunt mea, quae mando qualiacumque legas, Carmina mutata,s hominum dicentia forraas,
   Infelix dora i quod fuga rupit opus. Haec ego discedens, sicut bene multa meorum,
   Ipse mea posui maestus in igne manu. Utque cremasse suum fertur sub stipite natum
   Thestics, et melior matre fuisse soror, Sic ego non meritos mecum peritura libellos
   Imposui rapidis viscera nostra rogis: Yel. quod erara Musas, ut crimina nostra, perosus, Vel quod adhuc crescens et rude Carmen erat. Quae quoi ara non sunt penitus sublata, sed extant, . . .
   Plur ius exemplis scripta fuisse reor .... Nunc precor ut vivant, et non ignava legentem
   Otia delectent, admoneantque mei. Nec tamen illa legi poterunt patienter ab ullo, Nesciet bis summara si quis abesse manum. Ablatum mediis opus est incudibus illud, Defuit et scriptis ultima lima meis. Et ve: iam prò laude peto, laudatus abunde,
   Non fastidi tus si tibi, lector ero. Hos quoque sex versus, in prima fronte libelli Si praeponendos esse putabis, habe: