capitolo iii. — i poeti satirici. 367
degna d'invidia fino ai cinquantini anni, quando, mentre attendeva a comporre il suo maggior poema, un decreto di A ugusto lo relegò improvvisamente a Tom sulle inospitali r e del mar Nero.
La cagion vera d'un castigo tanto severo ci rimane ancora ignota, dacché Ovidio stesso non volle mai chiaramente manifestarla- Sembra però che si trattasse di una colpa, non di un delitto, giacché non venne mandato il esiguo per sentenza di giudici o decreto del Senato, locchè lo avrebbe privato degl avei e del d.ritto di cittadinanza, ma solamente relegato per editto del principe (Tr'.st. II. 131).
Nec mea decreto damnastì facta senatus, Nec mea selecto judice jussa fuga est
Tristibus invectus verbis... ita principe dignum .. Ultus es ofifensas, ut decet, ipse tuas.
Adde quod edictum, quamvis immite minaxque, Attamen in poenae nomi ìe iene fuit.
Qmppe relegatus, non exul, dicor in lio
Parcaque fortunae sunt data verba meae.
E in più luoghi egli ripete che cagione della sua perdita furono una poesia ed un errore. Quella è l'Arte d'amare, pubblicata in quello stesso anno nel quale Augusto mandò a confino sua figlia Giulia nell'isola Pandataria La coincidenza era certamente casuale, ma Augusto, noiato già dei mali costumi di casa sua, non poteva non serbare rancore al poeta che s'era fatto cosi apertamente maestro dì libertinaggi, e secondando i vizi del secolo contrastava ai suoi tentativi di porre un freno alla gener ale corruzione. Ma da quel tempo erano passati dieci anni, tantoché la pena parve troppo tarda al poeta ; e l'avrebbe forse potuta evitare se non avesse commesso il fallo di veder cosa, cui anche molti anni dopo non osava manifestare per non affliggere nuovamente l'imperatore. Perocché questo era stato l'error suo : aver veduto (Trist. III. 5. 49)
Inscia quod cnnen viderunt lumina, plector, Peccatumque oculos est habuisse meum.
E forse aveva imprudentemente veduto qualcuna delle scappate ài Giulia, la nipote dell'imperatore, che intorno a quel tempo fu mandata a confino a Trimero convinta < adulterio con D. Silano. Per ordine dell' imperatore le poesie i Ovidio furon tolte da tutte le pubbliche biblioteche.
Lontano da Roma e diviso da tutto ciò che più gli era caro (aveva una casa sul Camp: oglio ed un giardino fuori di città sulla via Flaminia), Ovidio non seppe sopportare cjn dignità l'esiglio. I Tristi e le lettere dal Ponto riboccano di querele e di preghiere agli amie' acc )cchè intercedessero per lui, di abbiette adulazioni al principe acciocché lusingato o commosso gli concedesse la grazia del ritorno, o almeno gli mutasse il paese d( Geti in un soggiorno meno inospitale. E pare che Augusto imp ìtosito o vinto dalle incessanti lagrime fosse per cedere, quando morì; e per disgrazia di 0> dio il cuor ui Tiberio non era tale da piegarsi ai suoi lamenti od alle sue adulazioni (6), Onde morì in Tomi (oggi Kostendsche) nella seconda metà dell'anno 770, 17 dopo Cristo, in età di anni 59 dopo otto anni di esiglio (7).
Presago forse della sua sorte avea chiesto in una lettera alla moglie, che le sue cener fossero portate a Roma, e qui sepolte colla seguente iscrizione. (Trist. III. 3.65) :
H c ego qui iaceo, tenerorum lusor amorum, Ingenu perii Naso poeta meo.
At til qt. transis, ne sif grave, quisquis amasti, D ;ere: Nasonis molliter ossa cubent.