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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO SECONDO. — PARTE I. — I POETI.
   CAPITOLO II. B POG,iI r I* i<#il
   § 23. Livio Andronico, Nevio ed £nmo.
   Livio Andronico tradusse pei suoi scolari l'Odissea in versi saturnii, che ai temp d' Orazio si leggevano ancora nelle scuole di Roma.
   Cicerone la rassomiglia per la sua antichità ad un lavoro di Dedalo, e i frammenti ci fanno fede ch'essa doveva servir ben poco all'uso d'intendere Omero, cui era destinata. Tanto è lenta, pedestre e senza alcuno spirito d'alta poesia. E lo stesso saturnio sì breve e monotono non poteva rendere la grandezza, la varietà e la sonante armonia dell'esametro omerico (1).
   Nevio cantò pure in versi saturnii la prima guerra punica, della quale poteva vantarsi d'essere stato gran parte. Nei primi due libri si narravano le origini di Roma e di Cartagine, intrecciate colla leggenda di Enea e di Didone, nel terzo la guerra pufitcal Vecchio si dilettava di questo poema più clie di ogni altra opera sua, e Cicerone lo paragona ad un lavoro di Mirone. Dai frammenti vediamo cosa 'osse : una cronaca in veisi (2).
   Ennio, che volle rivaleggiar con Omero, ed essere il primo poeta epico del Lazio come quegl. della Grecia, compose in diciotto libri di Annali tutta la storia vera e leggenda* a di Roma dalla venuta di Enea in Italia fino a'suoi giorni. E, lasciato il vecchio e disadatto saturnio, la scrisse in versi esametri.
   I gìudizii degli scrittori romani su Ennio variano secondo i tempi ed i gusti. Lucrezio, che ebbe con lui sì ne' pensieri e sì nella forma molti punti di somiglianza, lo dice il primo che tra l'Itale genti si cingesse la fronte del lauro colto in Elicona, e Cicero ne, che lo cita spessissimo, lo chiama in parecchi luoghi sommo ed ingegnoso poeta; quantunque gli dispiaccia che dicesse troppo male di Nevio, dal quale avea pur tolto molte cose. Nell'età d'Augusto non si osò negargli potenza d'intelletto, ma ai criiici più sottili, come ad Orazio ed a Properzio, parve irto e negletto: Ovidio lo disse massimo d ingegno, ma senz'arte. Però Oraz >, che fu con lui troppo acerbo e severo, dovette pur confessare che spezzando un verso degli annali ancora si trovavano le divise membra del poeta; e Virgilio, nei quale il senso .della grandezza romana e la venerazione dell'antichità eran rimasti più vivi che in tutti ì poeti di quel secolo, gli rese il maggior segno d'onore che per lui i! potesse imitandone le imagini più felici e copiandone i più bei versi. Un secolo appresso Quintiliano sci veva dovers Ennio adorare come que'boschi sacri per vetustà, ne quali le grandi ed antiche quercie non sono tanto ammirabili per bellezza quanto per religiosa maestà venerande. Ai tempi di Frontone e a'Aulo Gelilo gii Ennianisti, specie di rapsodi, declamavano in teatro i versi dell' antico poeta (3).
   (1) Cic. Brut. 18. 71. « Odyssia latina est sic tanquam opus aliquod Dsedali. » Aulo Gellio, N. A. XVIII, 9. 5. « offendi in bibliotbeca Patrensi librum ver?e vetustatis Livi An-dronici, qui inscriptus est '0    {2) Cic. Cato Major. 14. 49. « Quam gaudebat bello suo punico Naevius! » Idem, Brut. 19. 75. «Naevi, illius quom in vatibus et Fauiiis annuraerat Enuius, bellum Punicum quasi Myronis opus delectat. Sit Ennius sane, ut est certe, perfectior; qui si illum, ut simulat,