CAPITOLO I. — POETI DB AMATICI. 367
tra il dodicesimo ed il quattordicesimo secolo. Ma, chi ben la consideri, non può andare oltre il quarto secolo: e l'autore, chiunque poi egli sia, si valse per scriverla di Tacito, di Dione, e del libro di Seneca sulla Clemenza. Essa ha, diversamente dalle altre, più di tre personaggi, e mostra anche altre differenze nel metro e nella lingua.
(12) Pe»* i confronti tra le tragedie di Seneca e le greche sono da vedere oltre gli scritti già menzionati: Teuffel. R. L. pag. 570. 3 6 — C. W.Swahn, de Hippolyto Senecae fabula. Holm. 1857. — J. Kòhler, Senecae tragoedia quae Oedipus inscribitur cum Sofoclis Oedipo Rege comparatur. Neuss. 1865. — W. Braun, der Oedipus des Seneca in seinen Be-ziehungen zu den gleichnamigen Stiicken des Sophocles und Euripides und zu Statius Thebais. Museo Renano XXII. 245-275. — Widal, Etudes sur trois tragédies de Sénèque imitées d'Euripide. Paris, 1854.
(13) Vedi G. Boissier, Les tragèdie de Sénèque ont-elles été représentées? Paris, 1861. — È quasi impossibile di pensare che tante e sì lunghe dicerìe, descrizioni ed amplificazioni fossero tollerate sulla scena. Altra cosa è se riteniamo che fossero declamate nelle sale di lettura.
(14) La tempesta di mare, che fa parte del Baiconto di Euribate nell'Agamennone, è un vero saggio di descrizione scolastica . Tale è pure la lunga descrizione degli effetti dell'arrestarsi del Sole per la cena di Tieste. Un modello d'amplificazione scolastica sono le lodi della caccia che Ippolito fa nel primo della Fedra ; il dialogo di Agamennone e di Cassandra è tutto un gioco di parole. Come saggio di fredde antitesi in una descrizione orribile tiene il primo posto il racconto finale del nunzio nell'Edipo. Ma ciò cne più di tutto offende in queste tragedie il senso morale ed estetico, anche in mezzo alle scene più orribili, è la freddezza colla quale eroi ed eroine discutono sul genere di morte che a loro meglio si convenga Edipo, Giocasta, Fedra, Medea venuti all'estrema disperazione, fanno tutti innanzi di norire la stessa indagine, e di tutte le morti possibili pesano pacatamente il prò ed il contro, proprio come se invece di morire dovessero sciogliere un quesito al loro maestro di retorica.
(15) La scena più brutta di tutte le tragedie è l'incontro di Giocasta con Edipo, quando questi dopo il fatale riconoscimento s' era colle unghie strappati gli occhi. Un' arte più semplice, come fu p. e. quella di Sofocle, avrebbe capito che Edipo e Giocasta non potevano più rivedersi dopoché erano fatti consapevoli dell'orribile secreto. Come doveva 1'uno chiamar l'altro, e che si potcvan dire, che non fosse supremamente atroce o ridicolo ?
(16) La lingua delle tragedie è generalmente corretta, ricca di vo.fi e di frasi, ma non senza qualche sentore di decadenza. La versificazione è esatta; ma non sempre la varietà dei metri risponde appuntino alla varietà dei pensieri e delle situazioni.
(17) BePa per es., comechè terribile, è nel Tieste la scena dopo il banchetto; e il riconoscimento dei figli suggerì al poeta un di que'tratti che sono rimasti tra gli esempi di sublime breviloquenza (v. 1008, ecc.).
Natos ecquid agnosds tuos ?
— Agnosco fratrem —
E gli fa giusto riscontro nella Medea la risposta di Costei alla nutrice (v. 164 ecc.).
Nutr. Abierc Colchi, conjugis nulla est fides Nihilque super est opibus e tantis tibi.
Med. Medea superest, hic mare et torras vides Ferrumque et ignes et deos et fulmina.
Ne manca di bellezze il primo dialogo di Medea e di Giasone; come bellissima e pietosissima è la dichiarazione d'amore di Fedra al figlio. Tutta la vergogna ed insieme la passione femminile è in quei versi (674, ecc.):
. . . . en supplex jacet
Adlapsa genibns regiac proles domus.
Respersa nulla labe et intacta innocens.
T'ibi tutor uni. certa descendi ad precesi
Finem hic dolori faciet aut vitue dies.
Miserere amantis.