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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   344 LIBRO SECONDO. — PARTE I. — I POETI.
   L. Anneo Seneca. Così 'e inuagii. della critica verrebbero ancora una volta a confermare le testimonianze della tradizione letteraria.
   Tale è la storia della controversia, ned è probabile che per nuove indagini si possa giungere ad altre conchiusioni. Le tragedie considerate anche per sé sole sono senza dubbio del secolo di Seneca, e i loro difetti, come le loro bellezze non diflenscono guari dalle bellezze e dai difetti delle migliori poesie di quel tempo. Esse poi sono nella poesia il più cniaro monumento di quello stile luccicante e concettoso, del quale Seneca era stato primo maestro ed esemplare agli scrittori di prosa. E nelle massime filosofiche: come per esempio nella dottrina del suicidio, nel precetto che la felicità consiste nell'assoluta indipendenza dell'animo nostro dalle cose esteriori e dai casi della fortuna ; convengono per 1' appunto coi libri di Seneca, 1 quale dei personaggi della favola greca pare abbia voluto fare altrettanti tipi Iella setta stoica. Chi le ha lette sa che persino le donne ed i bambini vi parlano e vi muoiono da filosofi. Per cui nulla ^ età eh' egli possa esserne l'autore ; quantunque, per averci la fortuna privati di moli suoi scritti, noi non possiamo sapere se le abbia mai ricordate (10).
   Tutte queste tragedie (tranne l'Ottavia (11), della quale i critici oramai disperano di trovare l'autore) sono imitazioni di tragedie greche (12). E della più parte esistono eziandio gli onginali; sicché possiamo facilmente vedere quanta distanza separasse l'arto greca dagli artifizii che allora s'insegnavano nelle scuole latine. Quantunque non si vuol tacere che Seneca, come già i suoi antecessori, imitò di preferenza Euripide, il quale, appunto perchè sì studiò d'essere più piacevole ed attraente, ritenne meno dell'amica semplicità e grandezza. Pertanto nessuno cerchi nelle tragedie di Seneca nè alte intenzioni c o religiose, nè streccio naturale di vicende , nè regolare svolgimento d caratteri. Di queste, che son le proprie qualità dei draini scritti per la scena, esse, che dovevano esser ascoltate soltanto da un eletto numero d'amici, di farnig ;ari e di c enti, non . recano veruna traccia (13). Sono nate nelle ore oziose di un potente ingegno, che verseggiava ricordandosi della scuola, e cercava nel drama nulla ]. ù che una forma poetica acconcia a ricevere dipinture d'affetti feroci e violenti, descr '.ioni erudite, fredde declamazioni, dialoghi e deputazioni filosofiche. Come nel poema di Lucano, cosi in queste tragedie di Seneca noi vediamo sempre lo sci ttore, che tratta la sua tesi alla presenza del maestro, de' condiscepoli, de' congiunti, e per vincere la gara mette a repentaglio tutte le forze dell' ingegno, tutte le astuzie e gli spedienti dell' arte e della scuola (14). Quindi son ricercate a bello studio le passioni più brutte e feroci, e si compiono sulla scena gli atti crudeli o nefandi che Orazio insegnava di nascondere agli occhi degli spettatori (lo). Con questo l'aifettazione e la gonfiezza sono in ogni cosa : nello stile sempre teso e convulso, fiorito di antites d'arguzie e con-cetl ni, non meno che nella lingua, la quale nella sovrabbondauza, nell'enfasi o nel contrario vizio della concisione e dell'oscurità perde bene spesso la nativa propiietà ec eleganza (16).
   Nulladimeno il bagliore delle frasi e la vigorosa brevità delle sentenze, che fa-? cilmente si imprimono nella memoria degli uditori; la molta parte fatta alla descrizione di que' casi che più destano la pietà o l'orrore (le due sensazioni di cui, dopo il riso osceno, più si dilettano le età corrotte) e qua là alcune scene o tratti di vera grandezza tragica (17), furon cagione che Seneca godesse di moltissimo fasore presso i tragici moderni di tutte le nazioni. Vogliamo dire di quelli che seguitarono le norme convenzionali del teatro classico, come i francesi Corneille, Racine, Voltaire e il nostro Alfieri; i quali, nel rappresentare i fatti della leggenda e e'ella mitologia greca, dovevano di necessità dare maggior rilievo alle passioni privale e ingrandire artificialmente i personaggi, per pagarsi della mancanza del sentimento religioso e dell'amor patrio, che erano i fondamenti della tragefia ateniese. Ed anche i più grandi tra loro se fecero opere mirabdi d'arte e d'ingegno, non composero però mai vere tragedie. Perciò ad Esclnlo, a Sofocle ed anche ad Euripide, o mal eoi o troppo difficili, preferirono Seneca; il quale, come più manie-