338 LIBRO SECONDO. — PARTE I. — I POETI.
d' averne finite quattro in soli sedici giorni (3). Quintipore Clodio è noto solamente per un passo li Varrone citato da Nonio, dal quale pare che fosse un meschino poeta di comedie; forse palliate (1).
(1) Vedi Cicerone (Brut. 48. 177. De Orat. III, 8, 30) ed il commento di Asconio all'orazione prò Soauro (p. 21, Orelli) : « idem inter primos tempor; sui oratores et tragicus poeta bonus admodum habitus est. Hujus sunt enim tragcediue quae inscribentur JuliL » — Vedi Ribbeck, Scenicac poesis ecc. pag. 227-228, e sopra a pag. 335.
(2) Vedi Ritschl, Museo Renano, XII, p. 151. — Riese. Sat. Varr. p. 31.
(3) Vedi 1' Epistolario di Cic. ad Q. frat. IH. 5, 6, 7, e gli Scolii Bobbìesi all' Orazione prò Archia (p. 351, Orelli) : « fuit Quintus Tullius non solum epici verum etiam tragici car-minis scriptor, »
(1) Vedi Nonio p. 448: «Varrò in Rimarco: cum Quintipor Clodius tot comoedias sine ulla fecerit, Musa ecc. » Riese, pag. 105.
§ 15. Decimo Laberio e Publilio Siro.
D. Lanei io e P. Siro fecero per i mimi, ciò che Pomponio e Novio avean fatto per le atellane, E trovaron la cosa anche più facile ; essendo bastato che levassero alle atellane dei loro antecessori le maschere osche, per la troppa uniformità venute a noja. Cosi i mimi diventarono alla loro volta un' opera d'arte, e piacquero non alla sola plebe ma a tutta la cittadinanza, in seno della quale versavano largamente il veleno d'una insanabile corruttela. Fu opera accorta di nuovi dominatori favor le! la licenza dei turpi spettacoli, nel tempo stesso che si toglievano al popolo gli ulti ni resti di Libertà.
Decimo Laberio nacque in Roma di famiglia equestre tra gli anni 648 e 649, e mori, secondo la cronaca di Eusebio, in Pozzuoli dieci mesi dopo l'uccisione di Cesare; dunque nel gennajo dell'anno 711. Avea già scritto e dato al teatro romano buon numero di mimi, ferendo aspramente i grandi del suo tempo e lo stesso Cesare, quando l'anno '709 questi se ne vendicò invitando lui veccl ,o d'oltre sessantanni a gareggiare sulla scena con Publilio Siro.
Era questi uno schiavo d'Antiochia, caro al padrone per l'ingegno pronto ed arguto e per la bellezza, di che ebbe in premio una più accurata educaz ine e la libertà. Datosi a comporre mimi li venne recitando con gran plauso nelle minori città d'Italia, finché fu chiamato per i giochi di Cesare a Roma; ed usci vincitore dalla gara con Laberio, dopo la morte del quale tenne solo la scena.
Dei mimi di Laberio possediamo 44 titoli, e parecchi frammenti. Dove vediamo che in quest'ultima forma del drama romano vennero in certa guisa a fondersi tutti i generi della precedente commedia: i costumi greci iella palliata, e il vivere cittaa no e domes co della togata insieme coi frizzi e colle volgari laidezze delle atellane (1).
Dei mimi di Publilio Siro si conoscono due soli titoli e son pure apoci 3; giacche egli era piùcch'altro attore e poeta improvviso. Possediamo ivece una cop asa raccolta di mass ne e sentenze, che fu fatta e pubblicata da un dilettante nel primo secolo dell'era nostra; dal qual tempo solamente Publilio £ :*o prende posto nella stoi a dei poet romani. E da un passo di Seneca, dov'è detto che si davano le sentenze da imparare ai fanciulli, altri può fors' anche arguire che quella raccolta venisse adoperata nelle scuole. Certo è che Seneca, anche per averle udite in teatro, se ne valse assai volte, massime nelle clausole de' suoi mora rag onamenti (2).
(1) Sui mimi in genere e su questi due poeti in particolare vedi sopra a pag. 150-103.
Svetonio nella Vita di Cesare (39) scrive : « Ludis D. Laberius eques romanus mimura suum egit. » In Aulo Gellio (XVII. 14. 2, 14. 2) si legge: « C. Caesarera ita Laberii raale-iicentia et adrogantia olfendebat ut acceptiores sibi esse Publilii qaam Laberii miiuos pruedicaret. « Come si vide dall' esito della gara, di cui diede la palma a Publilio. E lo