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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   330 LIBRO SECONDO. — PARTE I. — I POETI.
   quo consule ludis Megaiensibus initium fuent fabularum dandarum, vel Q. Fabio Labeone et M. Popilio consalari utroque et poeta. Ideo ipsura non juvenes designare, qui se adju-visse dicerentur, sed viros, quorum et in bello et in otio et in negotio populus sit expertus. » Del quale parere Federico Iiitschl (Oomm. pag. 513-11) ritìnta la prima parte, cioè che Lelio e Scipione fosser troppo giovani perchè Terenzio ricorresse a loro per consigli od ajuti, ed accetta la seconda, cioè che Terenzio nel prologo degli A.delfi non abbia voluto indicare dei giovanotti, ma sì degli uomini d'età matura, de' quali veramente si potesse dire, che ogni cittadino a suo tempo s'ora valso senza disdegno dell'opera loro o in pace, o in guerra o in altro qualsiasi aliare. Il che, pare a lai, che di Scipione e di Lelio, per quanto già fosser chiari quello in guerra, questo nell'arti della pace, non si potesse ancora affermare quando, intorno al 594, furono rappresentati gli Adel/ì. Se non che oltre la debolezza delle ragioni, che furono validamente confutate da Klotz nel preambolo all'Andria (p. 3, nota 6), anche ad una così parziale e circospetta accettazione dell' avviso di Santra si oppone pur sempre la voce comune del popolo e degli scrittori, che di secolo in secolo s'ostinavano nell' attribuire a Lelio, a Scipione od a Furio Filo, non ad altri, il più bel liore delle coraedie di Terenzio. Del che pur egli s' accorse, e in ultimo suggerisce di credere ad un'astuzia dì Terenzio, che da Lelio e Scipione, a cui la fama alludeva, avesse con quelle lodi voluto stornare il sospetto sul capo d'uomini ben altrimenti autorevoli, per ottener più facilmente il perdono o la grazia degli spettatori. Astuzia non degna di Terenzio, nè del critico cne in un' ora di oblìo gliela volle attribuire.
   Ma il vero è che il poeta ha in quel passo voluto dinotare chiaramente i suoi giovani amici Lelio, Furio, Scipione, che tra i patrizii romani furono in quel secolo i primi e più appassionati cultori d'ogni arte che venisse dalla Grecia. Con loro egli viveva, e nella villa Albana leggeva a loro i suoi scritti e da loro , che l'avevano sulle labbra, apprendeva le native grazie dell'idioma latino. Un fatto per sè tanto semplice e naturale s'accrebbe, come tant'altri, passando per le bocche del popolo, ed alle esagerazioni della fama unendosi l'invidia degli emuli, ne nacque la piacevole novella che ogni secolo ripeteva, come suol farsi, sulla fede dell'altro senza discuterla. Ben più lontana dalla verità era adunque la imaginazione del grammatico che nelle comcdie di Terenzio , così fresche di gioventù, avesser posto mano C. Sulpicio Gallo, Q.Fabio Labeone, M.Popillio ed altri uomini già vecchi e dediti agli studi tanto più gravi della filosofìa o del governo.
   (3) « Post editas comoedìas nondum quintum atq je vicesimum ogressus annum, causa vitandae opinionis qua videbatur aliena prò suis edere seu percipiendi Graecorum insti-tuta moresque, quos perinde exprimeret in scriptis, egressus urbem est neque amplius rediit. De morte ejus Volcatius sic tradit:
   Sed ùt Afer populo séx dedit comoédias,
   Iter hinc in Asiam fécit. navom autem ùt semel
   Conscéndit, visus nùmquam est: sic vità vacat.
   Q. Cosconius redeuntem e Grecia perisse in mari dicit cum fabulis conversis aMenandro; ceteri mortuum esse in Arcadia sive Leucadiae tradunt, Cn. Cornelio Dolabella M. Fulvio Nobiliore consulibus morbo implicitum ex dolore ac taedio amissarum sarcinarum, quas in navi praemiserat, ac simul fabularum quas novas fecerat. » Così ancora Svetonio. Circa l'età sua, quando partì da Roma, nel codice pai g no si legge nondum quintum atque vicesimum egressus annum, e questa lezione fu accolta da Ritschl (che solo di suo capo mutò poi egressus in ingressus) e dietro il suo esempio da Klotz, da Teull'el, da Ba.hr ed altri. Fle.keisen nella biografia di Svetonio premessa all'edizione teubneriana delle co-medie mantiene l'antica lezione: quintum atque tricesfmum. Togliendogli questi dieci anni di vita, Terenzio diventa veramente, come affermò C. Nipote, coetaneo di Scipione. Pertanto se egli partì di Roma prima d'aver compiti i 25 anni o ^opo d'avere nel 594 rappresentati gli Adelfi, e se, come narra Svetonio, morì nel 595, si fa chiaro che non r'.aase assente da Roma più d'un anno, e chiuse la sua vita a 26 anni. E verrebbe ad esser nato nel 569, l'anno stesso di Scipione.
   (4) I Fuisse dicitur mediocri statura, gracili corpore, colore fusco, Reliquit fìliam, quae