318 LIBRO SECONDO. — PARTE I. — I POETI.
18. Lo Stico (Sticlius) (lai
19. Il Trinummo : drarna domestico senza donne ; dal ^aavpoq di Filemone e recitato non prima del 5(30.
20. L'uomo truce (Truculentus), recitata intorno al 565.
La Vidulana, ch'era la ventunesima delle favole varroniane, andò perduta nel meoio evo.
Dei sali di Plauto dettero un giudizio assai diverso Cicerone ed Orazio (3). Cicerone distinguendo due generi di sali, uno illiberale, petulante, turpe, osceno, ''altro elegante, urbano, ingegnoso, faceto, dice che di questo genere sono pieni Plauto, l'antica comedia degli Attici ed i libri dei filosofi Socratici. Orazio invece, nel dare ai Pisoni il consigli.) di volgere notte e giorno gli esemplari greci, soggiunge :
At vesti proavi Plautinos et numeros et Laudavere sales, nimium patienter utrumque, Ne dìcam stulte, mirati, si modo ego et vos Scinius inurbanum lepido seponere dicto, Legitimumque sonum digitis callemus et aure.
E questa differenza di giudizii si spiega facilmente, chi consideri che Cicerone, lodando i sali attici e le piacevoli arguzie di Plauto, non volle forse ricordarsi dei motti acerbi ed inurban* che bene spesso vi si incontrano, e che dai tempi di Cicerone a queln di Oia/lo i cr.ceri per giudicare del bello nella poesia s'eran cambiati di molto. Diletti Cicerone, toltone forse Livio Andronico, ammirava e lodava pressoché tutti gn antich poet'. romani, e si dilettava di inserirne i versi nelle sue conversazioni d rettorica e di filosofia.
Orazio ali incontro erasi fatto duce e maestro di una nuova scuola di poeti, e collo zelo del novatore combattendo gli antichi fu verso di loro qualche volta ingiusto. A lui che ne poeti grecL additava ai giovani i soli perfetti modelli dello scrivere, e in casa t1! Mecenate o nella sua villa e^a solito conversare coi fiore dei letterati e dei gentiluomini roman , a lui che avea reso la lingua e la poesia latina quasi altrettanto splendida ed armoniosa come la greca, doveano parer volgari le facezie plautine , sbagli iti i vers che non poteva misurar colle dita. Orazio non sapeva che Plauto avesse dovuto adattare i suoi metri alla pronun* a volgare; del che non < faremo merav glia, se pensiamo che un secolo appresso i grammatici ignoravano se le comedie di Plauto fossero scritte in versi od in prosa.
Con queste ragioni si spiega il giudizio tanto severo d'Orazio ; dal quale non s'allontana molto Qu.ntiiiano, il quale scrisse che i Romani nella comedia massimamente zoppicavano, e a mala pena arrivavano a ritrarre una leggiera ombra delle cornei:ie greche, cosi che gli pareva che la stessa lingua romana non fosse capace di quella grazia, che era riserbata solamente agli Attici.
Ma 51 vero è che nè Orazio nè Quintiliano coi preconcetti letterarii, di cui avean piena la mente, col gusto e colle dottrine del loro tempo non potevano più dare un giusto giudij o dell' ingegno e dell'arte di Plauto. Il quale volle essere e fu più che altro un poeta popolare, e voltando, com'egli dice, in lingua barbara le comedie greche 5 stuc 5 anzi tutto di adattarle al gusto dei suoi spettatori. Per ciò, quantunque serbasse il metro greco, parlò a loro colla lingua e colla pronuncia che ogni dì s'udiva nella bocca del popolo, da cui tolse in un coi moti', colle sentenze, colle arguzie gli esempii di que' dialoghi vivacissimi che sono la mignor parte delle sue comedie. Che se in taluna l'ordito è quà e là sconnesso e in altre la favola pecca di poca verisimiglianza, la verità dei caratteri, che son desci itti con una squisita conoscenza del cuore umano, la censura severa ed acuta, che senza alludere mai ad alcuno vi si fa delle cose e degli uomini di quel tempo e gl alti sensi li cibile prudenza e di schietto patriottismo, che chiaramente e non di rado risplendono anche tra i lazzi e le risa, aggiungono a pressoché tutte un pregio p/ù alto che non sia quello d'un fuggevole passatempo.