CAPITOLO VI. — QUINTA ET*.'. 311
abbia visto quante cose debba sapere e di quante discorrere un clie voglia scrivere la storia delle lettere romane Pertanto io temo avere dagli intelligenti piuttosto nota di parco che di liberalo, e dubito che parecchi argoment; sembrino, non che esauriti, sfiorati a mala pena. Ma se alcune pari potranno parere manchevoli, spero nondimeno aver sciolto il mio primo debito, che era quello di esporre secondo verità e colla maggior possibile evidenza si la storia come i tratti peculiari e caratteristici della letteratura romana.
E raccogliendo in poche parole la somma del libro, credo avere dimostrato:
1. Che essa fu si nelle origini, sì nei suoi progressi una letteratura essenzialmente Imitativa.
2. Che perciò appunto non incominciò coi pnmordj stessi della nazione, ma dopoché in questa, ch'era già cresciuta ad un alto grado di potenza, si furono manifestati que' due grandi bisogni dei popoli civili, che sono l'amor dei gei tali divertimenti e la curiosità del sapere. E sì il teatro, sì le scuole, ond' essa è uscita, furono per lungo tempo forestieri.
3. Che nelle mani degli ottimati, dai quali fu primamente protetta e favorita, essa divenne a breve andare un'arte utilissima di governo. E intanto potè crescere e rapidamente prosperare, in quanto fu subito giudicata uno stromento acconcio per condurre a buon fine i pubblici negozii ed acquistare in città e fuori ricchezze, onori e potenza. Di qui il pregio e la fortuna per alcun tempo assai diversi dei prosatori e dei poeti.
4. Che ad un gran senso pratico va in essa unito un fortissimo amor di patria, e finché la fortuna non ebbe mutato viso, un alto e quasi re^gioso senSmento della grandezza romana. Quindi essa è più eh' altra mai una letteratura essenzialmente civile e patriottica.
Queste furono, per la sostanza dello cose, le precipue e più generali proprietà della letteratura romana; e dico a bello studio generali, per non escludere le moltissime varietà, che dipendono dalla differenza d'età o di materia, ed n Roma forse più che altrove hanno radice nell'ingegno, nella condizione o nella diversa energia degli scrittori.
Rispetto alla lingua parmi d'aver messo in chiaro questi due fatti essenzialissimi :
1. Che i! latino, stato per cinque secoli un dialetto, epperò esposto a tutti i pericoli degli idiomi parlati, diventò 'ingua letteraria mercè l'imitazione greca e per opera degli scrittori del sesto secolo ; tra i quali primeggiano Plauto, Ennio e Terenzio tutti imitatori o traduttori di opere greche.
2. Che quantunque sian cresciuti alla scuola dei greci., e dai greci abbiano appreso l'arte e la potenza d'esprimere felicemente ogni maniera di sentimenti e di pensieri, gli scrittori romani hanno però saputo dare e mantenere tanto alla lingua, quanto allo stile latino una propria spiccatissima fisonomia. Se forse non è più giusto ii dire che l'hanno appunto conseguila mentre lottavano per aggiungere in ogni cosa l'eccellenza dei loro esemplari.
Pertanto, se ne togliamo gli elleu'srai de' poeti, che solo dopo Augusto entrarono in gran copia, nella prosa, la sintassi appare nelle due lingue assai differente; e lo stile ha, per la diversa indole e costituzione del popolo, della lingua e della letteratura, regole e colore affatto diversi. Basta, a persuadersene, confrontare un periodo di Platone o di Demostene con uno di Cicerone; e ricordarsi degli sforzi che questi fece e fece fare alla lingua, per poter discorrere ampiamente e sottilmente in latino di rettorica e di filosofìa,
Una volta persuaso che queste fossero le peculiari qualità della letteratura ro-