CAPITOLO VI. — QUINTA ET*.'. 305
qui in italiano le particelle di col genitivo, a, ad col dativo, da coli' ablativo ; la quale ultima è una preposizione tutta italiana composta di de con ad, e compare già (l) in iscrizioni del V e del VI secolo.
L'articolo mancava al latino classico, e sebbene Quintiliano dicesse che non ne avevano bisogno (noster sermo articuios non desiderat) (2), non è men vero che alcuna volta ne sentirono la mancanza, e s'ajutarono col pronome dimostrativo ille, illa, ilio (classico ittud), che diventò poi il nostro articolo determinato (3). E, a cagion d'esempio , se ne valevano, come i Greci del loro art colo (che in origine era pure un pronome dimostrativo), per indicare una persona o cosa nota comunemente o già prima nominata (ille Alexander, illa Medea, annus iile quo, illa rerum domina fortuna, ille quidam, ille alter), onde era facile il passo all'uso dell'articolo moderno, che è di determinare precisamente la persona o cosa che vogliamo nominare. E gli esempii cominciano a diventar frequenti dopo il sesto secolo.
Il numerale unus avea già in latino perduto parte del suo primo significato. Oratori e poeti lo univano, a mo' di pleonasmo, coi superlativi per dinotare un alto e quasi unico grado di eccellenza, dai comici e da Cicerone fu adoperato per dir uno ed una, quasi come se fosse sinonimo di aliquis e quidam. Plauto (nel Pseui.i. IV, 1, 38, 94), fu primo a scrivere: «Ibidem una aderit mulier lepida tibi savia super savia quae defc» e Terenzio gli tenne dietro nell' Andria (v, 117-118) « interea inter mulieres, quae ibi aderant, forte unam ispido adulescentulam ». Due secoli dopo Cicerone scrisse nel De Oratore (I, 29, 132) « non modo mihi, qui sicut unus pater familias his de rebus loquor, sed e 'am ipsi di Roscio, quem saepe audio dicere, caput esse artis decere ». E Gregorio di Tours finiva col dire nel sesto secolo dopo Cristo (4, 49), « cum ad eum unus cuneus hostium adventaret ». Così nacque il nostro articolo indeterminato (4).
Già la conjugazione latina era per abbondanza di forme inferiore alla greca: poiché mancava del numero duale, della voce media e dell'ottativo, aveva confuse insieme le forme dell'aoristo e del perfetto, e, tranne 1' mperfetto, doveva significare con una perifrasi tutti i tempi passati della voce passiva. Passando nelle nuove lingue essa perdette tutte le forme della voce passiva, e nella voce attiva : i due futuri ed il più che perfetto dell'indicativo, l'imperfetto ed il perletto del congiuntivo, e tutte le pochissime forme dell''mperatìvo ; talché dell'antica conjugazione non rimasero che i tempi:
a) Presente, imperfetto e perfetto dell'indicativo attivo: amo (amo), amava (amabam), amai (amavi).
b) Presente e più che perfetto dei congiunl.vo atwvo: ami (amem), amassi (amassem) : ma il più che perfetto ha, come si vede, praso il valore di imperfetto
E si sbagliavano qualche volta anche le desinenze dicendo- aliquis e Iugubrìs per aliquibus lu-gubribus, dibus per diis ecc. Che se dai casi passiamo a'Ie declinazioni noi vediamo che già Quintiliano non sapeva più se senatus nel Gen. e Dat. sing. fosse della IIa o dulia IVa, e trovava che altro era parlar latino, altro parlare in grammatica. « Quid de aliis dicam, cum senatus senatus senatui, an senatus senati senato faciat inceitum sit? Quare mihi non invenuste dici videtur, aliud esse Latine, aliud grammafice loqui ». (I. 6', 27). Dove è chiaro che latinamente vuol dire vohjarmente.
(1) L'uso di da, è antico. In un'iscrizione romana del V secolo (Murat. Ant. II, 1011) da sancta in altra del 700 (V, 329) da vos; nel 718 (III, 565) ter-a da Cunichis. (Diez. II, p. 23).
(2) Inst. Or. I, 4. 19.
(3) Tranne ille, che in italiano ha conservalo la sillaba accontata (il) e perduta P atona (le), gli altri hanno per cagione dell'enclisi perduto invece la prima sillaba. Vedi sopra il paragrafo sull'accento latino,
(4) Gli Bsempii più cosj' cui di Plauto, tanto per ille quanto per unus, si veggano raccolti ed ordnati nella I issertazione di Schmilinsky, pag 13 e seguenti.
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