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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   300 LIBRO i'RIMO.
   anche la sintassi fu tratta a mutarsi radicalmente e di sintetica diventare daper-tutto, come suol dirsi, analitica. Così facendo le lingue neo-latine obbedivano all'istinto popolare* che per sè stesso è grossolano e spicciativo, e nel parlare come in ogni altra cosa vuol fare ad ogni costo il suo comodo.
   Pertanto nella fonologia di tutte le lingue romanze noi lotiamo dapprima questo fatto, che, mentre si diminuisce o si distrugge la quantità originale delle sillabe, l'accento serba regolarmente il suo posto ed opera sulla quantità come per lj addietro non aveva mai fatto. Esso è diventato il punto fìsso, e come a dire il pernio della trasformazione della parola latina in parola romanza. E difatti pel deperimento della quantità un vocabolo potrà tatt' al più logorarsi tanto da cancellare ogni traccia dei suoi vecel: component.; ma, distruggendosi l'accento, esso perde addirittura la nati/a npronta e cessa d'essere una parola romana. Quindi l'accento è oggi ancora il migricH mezzo per distinguere le parole di origine popolare, da quelle che in età posteriore gli scrittori presero a prestanza dal latino classico. Così si capisce, a mo' d'esemp o, in francese la differenza tra méùble
   a ,
   e mobile, tra frele e fragile, tra porche e portique. Quelle sono vere e schiette voci romane, queste sono forme artiflcia)' e bastarde.
   Seguitando la storia della prosodia — ossia delle quantità e dell'accento — nel latino di questi quattro secoh noi vediamo:
   1.° Che siccome nell'antica lingua latina (prima della riforma di Ennio) le vocali lunghe per posizione erano spesse volte prese come vocali brevi od irrazionali (perchè così suonavano sulla bocca del popolo e nessuna legge metrica ne aveva stabilito la quantità), cosi ora nuovamente molte di quelle sillabe, che dai poeti dell'età d'Augusto e loro successori erano trattate come lunghe, dal volgo ed anche dalla gente colta venivano nel fatto pronunziate come sillabe brevi. Onde per testimonianza dei grammatici tornavano ad essere brevi le sillabe finali terminate in M ed S anche
   davanti alla consonante iniziale d'altra parola: brevi erano le desinenze ant, uni, ent dei verbi, brevi le sillabe iniziali di injuria, impelus, armatus, barbarorum; come negli antichi poeti comici erano brevi le stesse sillabe in: impingam, ingenium, argentimi, ornatus, ecc. La pronun.a popolare dava nuovamente legge al metro, e i grammatici eran costretti di registrarne, quasi come regole, gli esempii.
   2.° Che dalle vocali in posizione tale licenza si estese man mano alle altre, tantoché i grammatici degli ultimi secoli non sellavano più la d Terenza tra le lunghe e le brevi; e col progressivo oscurarsi della quanl tà crescendo 'l predominio dell'accento, si venne a ciò che nella seconda metà del terzo secolo il popolo, ed i poeti che ne seguitavano la pronunzia, trattassero addii .ttura come brevi le sillabe atone, come lunghe le sillabe accentuate. Sillaba accentuata e sillaba lunga eran venute dopo lunghi secoli di vicende a dire la stessa cosa, e l'accento aveva sottomessa del tutto la quantità (1).
   (1) Le prove si raccolgono segnatamente da Probo, da Claudio Sacerdote e da D mede. In essi troviamo par es. abbreviato 1J i finale atono di confiti 3d allungato P i interno di perspicere m perspTcere possit, perchè ha P accento. Il grammatico Consenzio (p. 392. K) scriveva nel quinto secolo : « quidam dicunt pi'per producta priore syllaba cum sit brévis, quod vitium afrorim ì-miliare est. « Servio Onorato sulla fine del quarto secolo insegnava a trovare la quantità delle parole dissillabe per mezzo dei loro composti , mostrando come la pi na illab.i di pius fosse breve perchè in impius l'accento si ritirava sulla teriultima. Ed in generale (nelle voci polisillabe) a.:era potersi la quantità delle sillabe conoscere in tre modi: le iniziali cogli esempii d. poeti le mezzane coll'accento, le finali colle regole della Grammatica. «I Nam quod pertinet ad naturam primoe syl-labae, longane sit an brevis, solis confirmamus exemplis; medias vero in latino sermone accenta (linoscimus, ultimas arte colligimus ». (ad Aquil. de final. 1809. P.) Vedi Corssen, II. 939, c seg. Weil et Benloew. Theorie de PAcc. lat. 254. c seg.