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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   206 LIBRO i'RIMO.
   Ma l'elemento essenziale essendo stato latino volgare, l'alterazione delle voci, delle forme e dei costrutti dovette necessariamente seguitare il naturale deperimento della fonologia, della morfologia e della sintassi latina. Ciò basta a spiegarci il parlar somigliante di popoli cbc vissero per tanti secoli divisi e sconosciuti, come siamo per es. noi Italiani ed i Rumeni della Dacia.
   E nella storia di quelle alterazioni si devono ancora distinguere due periodi, se-condochè avvennero prima o durante il medio-evo Quelle sono ancora forme veramente latine, taluue delle quali risalgono fin oltre alle origini della letteratura; queste sono forme o della bassa latinità o delle lingue romanze. È questa una distinzione, la quale si presenta da sè a chi voglia tener diviso il parlare latino dalle lingue che ne derivarono; quantunque, per parecchie ragioni che non è qui il luogo di discorrere, non sia sempre nè molto facile, nè molto sicura (1). Ano giova, non fosse altro, per restare dentro i limiti del nostro lavoro; giacché nella storia delle lingue romanze noi non possiamo considerare che i cangiamenti accaduti mentre eran vive ancora la lingua e la letteratura latina. Il che in altri termini vuol dire che ci dobbiamo, per quanto è possibile, fermare a quel punto dove, cessando d' essere dialett1 della lingua romana rustica, esse diventano le lingue dei nuovi popoli d'occidente. Ma, giova ripeterlo, la distinzione è qualche volta difficile; perocché in questi ultimi secoli e sin quasi a Carlo Magno i vocaboli conservano ancora tanto quanto la forma latina, nè le alterazioni della pronunzia popolare sono ancora passate tutte quante nella scrittura.
   Ora, per cominciare dal vocabolario, noi notiamo addirittura questi due fatti: che un grande numero di voci plebee, rifiutate dalla lingua Ietterai a, sono tornate in uso, e che per converso moltissime voci classiche andarono perdute.
   Non poche di quelle voci si leggono già negli scrittori prima d'Augusto, altre solamente dopo, e molte sono voci tecniche piuttosto che plebee, che la fortuna o il bisogno rimisero in uso.
   Scegliendo alla ventura troviamo tra le antichissime (2):
   Aójutare in Terenzio, Pacuvio, Lucrezio, Varrone, Gellio e Petrom'o, (ital. ajutare). Aójuvare è scomparso, e del semplice juvare s'è fatto giovare in italiano.
   Batuere in Plauto, Nevio, ecc.: it. battere.
   Bucca : it. bocca, anche nelle lettere di Cicerone (3).
   Caballus: it. cavallo, anche in Oraz > (4).
   Campsore in Ennio : it. causare.
   Cordolium in Plauto ed in Apulejo: it. cordoglio.
   Ebriacus in Plauto : it. briaco.
   Eradicare in Plauto, Terenzio, Varrone : it. sradicare.
   Fracidus in Catone: it. fracido, fradicio.
   Ou'ùernum in Lucil o e Lucre . o: it. governo.
   Betta in Festo: (pag.99) cosa di niun conto, come quando si dice: non fletta: te facto; in italiano: non ti stimo un ette.
   Jubilare e quiritare due voci, quella rustica, questa urbana, secondo Varrone, che in italiano tornano a : giubilare, gridare.
   Minaciae in Plauto: it. minaccia.
   Putus (= puer) e putillus (in Plauto) : it. putto, puttello.
   Vasum in Plauto, Catone, Petronio : it. vaso. Voci degli scrittori dopo Augusto (da loro coniate o prese dal dialetto volgare) sono:
   (1) Diez. Gr. i. 30, 31, ecc.
   Diez. ib. 7 c seg. Per le voci tecniche tornate in uso nel Medio Evo vedi Pott nella Zcit-schrift di Aufrccht e Kuhn 1. 309.
   (3) Vedi sopra, pag. 282.
   (4) Id., Ib.