Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (310/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (310/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   294 LIBRO i'RIMO.
   di Roma che diventava sempre minore sui municipii e sulle provincie: aggiungi l'affluirò in Roma d gente d' ogni ,paese, per cui le voci ed i modi o volgari o forestieri .penetravano incessantemente anche nella lingua del governo, delle leggi e degli scrittori. Ter questo modo già nel t.eiy.o secolo la lingua letteraria era notevolmente diversa nell'Italia, nell'Africa e nelle Gallie, e le differenze crebbero poi col sopravvenire d'altri scrittoi dall'Asia e dall'Egitto, finché i progressi del cristianesimo, la caduta dell'impero d'occidente e i regni barbarici la condussero nel giro d'altri quattro secoli presso al fine della sua gloriosa esistenza. Boezio, Ennodio e Cassiodoro sono nel sesto secolo gli ultimi bei nomi deila letteratura romana; dal sesto all'ottavo s possono ricordare cronisti Gildas e Gregorio di Tours, il poeta Venanzio Fortunato, Gregorio Magno ed il grammatico Isidoro. Neil' ottavo secolo il latino classico è morto, perchè più nessuno lo sa scrivere, e gli succede per tutto il medio-evo il latino dei notaj, dei chierici e delle scuole (1), mentre dai dialetti già chiaramente separati e distinti del latino volgare uscivano le nuove lingue romane.
   Il cristianesimo agì sul latino in due opposte maniere, tanto da sembrare che disfacesse con una mano quello che creava o conservava coli'altra. Perocclié nessuno può negare che esso abbia prima giovato a propagare la lingua e la coltura latina, poi a custodirla e difenderla contro l'invasione barbarica, e che, quando le lettere pagane parevano colpite d'insanabile languore, abbia dato a Roma ed all'impero scrittori insignì ugualmente per l'altezza dei concetti come per lo splendore della forma Mentre è anche chiaro che la dottrina cristiana difficilmente si lasciava esporre in buon latino, e le moltitudini a cui si doveva predicare non intendevano che il latino volgare. Quindi nel trattare di sacra teologia gli scrittori cristiani dovevano di necessità scostarsi dalle strette regole della lingua e dello stile classico, dovevano coniare ed accettare forme e vocaboli nuovi, e piegare la lingua a costrutti che più comodamente e fors'anche più preci samente esprimessero i loro pensieri e sentimenti (2). Da questa necessità, che mutava sostan ialmente forma e natura al latino classico, nacque e si formò di secolo in secolo quel latino teologico, che v ve ancora nelle scuole e negl ufHz della chiesa romana. E parlando alle plebi, dove il cristhmesimo pose le prime e più salde radici, gli scrittori cristiani, com' ora si è.detto, dovevano usare un linguaggio semplice, disadorno, volgare. Era anche usanza o necessità tra loro di biasimare e vietare la lettura degli autori pagani, cosicché, per aT. er letto Cicerone S. G rolamo fu biasimato in Cielo , e S. Gregorio Magno diceva apertamente che stimava indegna cosa restringere le parole dell' oracolo celeste sotto le regole di Donato. « Non metacismi collisionem fugio,
   (1) Era, come si raccoglie dai documenti, una imitazione pretenziosa del latino letterario, un latino sgrammaticato, uiu miscela di lingua classica e di lingua volgare, nella quale la proporzione dei due elementi variava secondo i paesi e la dottrina di chi scriveva. In Italia, dove la tradizione letteraria non si è mai troncata interamente, questo latino fu lingua, se non parlata, intesa c scritta per lunga pezza dal ceto medio ed ebbe fino alla metà del secolo XIV una sua letteratura. In Francia fu lingua degli uffizii fino a Francesco I, il quale nel 1859 comandò che tutti gli atti pubblici fossero stesi in lingua francese. Ed ecco come in pochi tratti lo descrive Fauriel (Dante. It, 'v20): « Ces clercs et ccs notairei, tout en faisant du latin barbare, avaient néanmoins généralement Tin-» ention expresse de faire du latin: ils en employaient, mais au hasard^mais uniquement pour les » employer, le pcu de formules qn1 ils en savaient par une tradition qui aliai! de plus en plus s'ef-» facant et s'altérant. Or, en cherchant à 'faire ainsi plus de latin qu' ils n' en savaient, ils s'éloi-» gnaient de l'idiome vulgaire de la masse dos populations. Sano arriver à écrire du latin, ils » arrivaient de toute necessitò à écrire aulremcnt et à coup sùr beaucoup plus mal quo cette masse » ne parlait ».
   (2) La tendenza alle astrazioni era già diffusa negli scrittori romani, ed essi naturalmente la proseguirono e l'acci ebbero. — Vedi Bernhardy, R. Lit. 520. (n. 244).