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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO i'RIMO.
   Macedonia e nella Tessaglia (1). E si divide in due rami principali, che sono il dialetto dacorumeno al settentrione ed il dialetto dacomacedone a mezzogiorno. Quello è più netto di elementi stranieri e potè diventare, com' è oggi ancora, lingua letteraria; l'altro si corruppe con una più larga miscela d'albanese, di greco, di slavo e rimase dialetto volgare (2). E della strana mistura di popoli, che si successero e si sovrapposero in questa travagliata valle del Danubio, rende perfètta immagine la lingua rustica delle parti orientali, dove una metà appena di vocaboli sono latini mentre le radici degli altri si devono cercare nello slavo, nell'albanese, nel greco, nel tedesco, nell'ungarese e sino nel turco (3).
   Prima i commerci, poi le guerre resero per tempo famigliare ai Romani la lingua punica. Tanto almeno si può arguire dal Penulo di Plauto. Ma dopo la distruzione di Cartagine e quando anche la Numidia fu diventata provincia romana, dovette essere ben più rapida la diffusione del latino nell'Africa settentrionale. A Cartagine, ad Utica, a Madaura sorsero e fiorirono scuole di grammatica e di retorica latina, e dal principio del secondo secolo sino alla caduta dell'impero l'Africa diede, come già è visto, a Roma buon numero d'illustri scrittori, sì pagani come cristiani. Tuttavia la lingua punica non vi fu spenta affatto, dacché sappiamo che la sorella di Settimio Severo parlava a stento latino e che pur nel discorso dell'Imperatore suonava non so che d'africano. S. Agostino ebbe a dire di un cotale che parlava ugualmente bene latino e cartaginese (4). Qui il latino peri affatto sotto la dominazione degli Arabi, non lasciando traccia di sè che nelle iscrizion le quali provano che ancora al tempo dei Vandali e dei Bizantini la lingua di Roma era viva e parlata sulle coste dell'Africa (5).
   Il numero e la varietà degli scrittori fanno l'opera difficile a chi voglia con brevi, ma sicuri tratti descrivere la latinità africana. E difatf come si confrontano Apulejo con S. Agostino e Marziano Capella con Tertulliano? — Nuliadimeno si vede chiaramente da tutti, che il latino letterario dell'Africa procedeva bensì dal latino volgare e dalla lingua che s'insegnava nelle scuole, ma col latino letterario e tradì: onale di Roma nulla aveva di comune fuorché il nome. Gli scrittori eran liberi di scrivere come a loro piaceva, e, a dir vero, non aveano neanche un pubblico che potesse dirigerli od emendarli. Onde manca a loro il senso tanto della proprietà ne' vocaboli, quanto dell'ordine e del -'gor logico ne' ragionamenti. Seguono l'accesa fantasia e riescono gonfi e convulsi. Pertanto se nella latinità gallicana ci an-noja qualche volta l'arguto cicaleccio, in questi ci stancano l'oscurità e le ampolle (6).
   (1) Al nord-est dell'Istria, nella Valle dell'Arsa, vive ancora una gente che dice di appartenere alla stirpe rumena. Vedi Diez. I. 156.
   (2) La parte maggiore spetta al greco, poi viene l'albanese, ultimo lo slavo.
   (3) Schuchardl 1. 97, ecc Diez. 1,135 e seg. Il valacoera qui isolato, fin dall'origine, o durante l'impero romano si parlava latino dall' Isonzo fino alle foci del Danubio ì S. Girolamo dice che in Sindone sua patria, posta al confine tra la Dalmazia e la Pannonìa, si parlava latino: e prima di lui Vellejo Patercolo avea scritto che in luite le Pannonie si conoscevano le lettere e si usava la lingua latina. Se guardiamo allo stato presente di quei paesi dobbiam credere che lo slavo vi penetrasse fin da principio e v'inlei rompesse il dominio del latino.
   (4) Vedi Bernhardy, R. L. 71-72. (ó3). Schuchardt 1. 97-98.
   (5) Schuchardt, Id. Ibid,
   (6) Vedi Bernhardy,R. L. SOS, (n. 231). Quasi tutti gli scrittori africani s'accordano: a porre le preposizioni a, de in luogo del genitivo, ad usare i nomi astraiti (orationes, affectus, metallo) con significazione concreta, a soslanlivare gli aggettivi mediante elissi (remissa, sfrata, legenda), a preferire la desinenza are dei verbi (inducal e, molare, gypsare, mediare, latinizare), che a poco a poco prese il sopravvento sulle altre. E di tutti il più bizzarro e scorrette è forse Tertulliano, nel quale sJ icontrano un genitivo come: imbrium utili a, un accusativo come Campania erepta Pompeios, nomi astratti plurali, come: corpulentiae, discentiae, inexpertenliae, vocaboli composti c domati